I familiari ci scrivono ...

Le lettere dei famigliari sono il mezzo migliore per conoscere la situazione psichiatrica italiana.

 

Sono delle "grida" di aiuto, che non trovano eco o risposte, lanciate da madri, padri, sorelle, fratelli, figli che devono contare solo sulle proprie forze per affrontare situazioni drammatiche ed inimmaginabili per chi non le vive in prima persona.

Riflettono una realtà sconosciuta: il dramma del malato e delle famiglie.

Si potrebbe affermare, con una formula del tutto riduttiva, che i familiari non sappiano accettare (nemmeno dopo anni) la situazione e pertanto che drammatizzino questo aspetto, allo stesso modo di quanto fanno altre persone coinvolte con persone disabili (es. persone in stato comatoso perenne, ecc.).

Il fatto che distingue invece la sofferenza del famigliare di un malato di mente da altre persone è il continuo stress e potenziale pericolo al quale è sottoposto, in particolar modo quando le cure sono inadeguate o non sono efficaci ed i Centri non intervengono, lasciando persone ormai anziane in balia di un disturbato e delle sue allucinazioni. Povere famiglie costrette a vivere senza un momento di tranquillità, in un massacrante e drammatico stillicidio quotidiano.

Spesso sono loro le sole a "sparare" e ad essere colpite nel fronte di guerra alla malattie mentale.

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Diapsiroma via sospsiche.it - Racconto/confessione di struggente realtà da parte di una famiglia ricolma di coraggio e fierezza pur nell'angoscia e dispiacere di doversi raffrontare con l'autismo.

In un caldo pomeriggio estivo del 1960, dal ponte della nave che ci portava in patria, Irene ed io, allora ventenni, osservavamo, con nostalgia, la costa egiziana allontanarsi all'orizzonte, una bassa striscia pianeggiante che il tramonto colorava con tinte che ci ricordavano la sabbia del deserto ai bordi del quale eravamo nati.  I pochi spiccioli in tasca e i tanti progetti e speranze, che albergavano nei nostri cuori, erano i soli bagagli che ci portavamo appresso per sposarci ed iniziare insieme una nuova vita. Ben presto l'Italia ci accoglieva con il suo profilo costiero di verdi montagne, a noi sconosciuto, con le cime rischiarate dalle prime luci dell’alba, quasi come un allegorico invito a vincere le difficoltà delle numerose scalate e cordate che il futuro ci riservava, forti del sentimento d’unione, proprio di una famiglia cristiana, che i nostri genitori, con il loro esempio, ci avevano trasmesso.

In una sera invernale del 2004, un cielo terso e pieno di stelle avvolge una collina toscana sulla cui cima un casale accoglie tutta la nostra famiglia per festeggiare il quarantesimo compleanno di Oliviero. Le fiamme che crepitano nel gran camino illuminano il suo viso dal quale traspare la gioia, che non può esprimere a parole, nell’essere attorniato da noi genitori, da suo fratello, sua sorella, dai rispettivi moglie e marito, e dalla piccola nipotina Elsa che, con garbo e civetteria, alle sue prime parole aggiunge già “zio Oli”, “nonno barba” e “nonna Irene”.

Due immagini che delimitano un arco di tempo nel quale alla spensieratezza dei primi anni di matrimonio subentrarono angosce per la sindrome di autismo, diagnosticata nei primi anni di vita al nostro primogenito Oliviero, angosce che ci prostrarono e ferirono profondamente annebbiando la visione dei nostri progetti per il futuro. Il primo sentimento di rifiuto totale di tale realtà, vissuto con un senso di colpa, oggi non suscita in noi alcuna vergogna, per la consapevolezza maturata negli anni che rifiutare significa anche volontà di reagire, migliorare, progredire e conciliare la gravosa responsabilità di genitori di un bambino autistico, con il rispetto delle proprie personali ambizioni e aspettative per il futuro. E’ stata questa sintonia di pensiero, tra Irene e me, che ha potuto lenire le nostre ansie aggiungendo, nel corso della nostra vita, al tepore delle fiamme di un camino, il tepore dell’affetto di Oliviero, dei suoi fratelli e di tutta la nostra famiglia.

Prime diagnosi, primi accertamenti, prime delusioni! Delusioni e scoraggiamenti nel sentirsi soli con la nostra pena, soli in mezzo ad una società ancora piena di pregiudizi sull’handicap mentale.
Soli, anche quando bisognava diffidare delle millanterie di guaritori e ciarlatani e capire dallo sguardo di nostro figlio che noi genitori eravamo il suo unico punto di riferimento in un mondo frenetico e caotico a lui incomprensibile; questa sua fiducia in noi non poteva e non doveva essere disattesa. “Stereotipie”, “instabilità” e tanti altri termini riempiono pagine di sterile sapere di chi effettivamente non sa dare risposte a chi, come noi, si raffrontava quotidianamente con l’autismo.
Oliviero a suo modo ci educava, perdonava i nostri errori  e ci rendeva sempre più accorti nelle nostre scelte e decisioni.

1970, primi vagiti di una nuova vita ci riempiono di gioia, vagiti che presto si evolvono nelle dolci parole “mamma”! “papà”! E’ nato Alessio e la sua carica d’energia infonde in noi nuova linfa, aprendoci prospettive per il futuro che appagano sogni e speranze per tanti anni disattese. Dopo i suoi primi passi, un’altra vita si annuncia, è la sorellina Manuela che con grazia sorride ai suoi rumorosi fratelli. Tutti quanti, mentre mamma e papà sono in ufficio, danno da fare, a casa, a una meravigliosa nonna paterna che si prodiga, con l’abnegazione d’altri tempi, in mille amorose cure per i nipoti e per i loro genitori. Ben presto i bambini ai loro giochi aggiungono, spontaneamente, atteggiamenti protettivi per il loro fratello maggiore, si sentono inconsciamente partecipi di responsabilità più grandi di loro! Una parte della loro semplicità infantile fugge e matura velocemente ed è per loro il contributo pagato all’acquisizione di un forte senso di responsabilità che gli accompagnerà per tutta la vita.

Integrazione! Primi anni del 1970, all’epoca unicamente un’ideologia! Le ideologie, con il pretesto di condividere ideali e concetti che singolarmente sono da tutti accettati come l’integrazione per tutti nella società, stravolgono giuste convinzioni e portano grossolanamente avanti politiche senza realmente prendere in considerazione gli interessi e necessità di chi deve subirne le conseguenze. Per i casi più gravi, generalizzare un metodo crea discriminazione non rendendo possibile la pluralità di libere scelte alternative.

I nostri ambienti di lavoro, a carattere internazionale, ci offrivano la possibilità di cercare risposte, non trovate in Italia, anche in altri paesi europei; risposte al nostro bisogno struggente di trovare per Oliviero un ambiente pedagogico curativo che potesse plasmare, nel rispetto della dignità umana, la sua personalità disturbata da esternazioni discordi dai suoi intendimenti interiori che noi genitori percepivamo attraverso la delicatezza dei suoi lineamenti e rari sorrisi.

Altre montagne da scalare si profilavano all’orizzonte, anche se per scalarle un aereo di linea creava e crea tuttora, con centinaia e centinaia di voli, un cordone ombelicale che avrebbe mantenuto Oliviero sempre partecipe della vita familiare, amalgamando ambiente curativo e socio-terapico al calore dell’affetto dei suoi cari. Ogni tre settimane Oliviero rientra a casa per un breve week-end! Un impegno enorme d’energie e di costanza per chi, come noi, doveva conciliare responsabilità di lavoro con la certezza di avere trovato per Oliviero l’ambiente e gli operatori che potevano accoglierlo e accompagnarlo in uno sviluppo armonioso nei limiti delle sue possibilità. Un’isola lambita da acque calme che proteggono dall’impeto della “Grande Corrente” dove come fuscelli si è sbattuti dai marosi della vita della società moderna e bisogna avere le forze per non soccombere.

Un venerdì mattina, i primi fiocchi di neve cadono sulla pista dell’aeroporto di Ginevra. La mia esperienza professionale mi fa comprendere che il traffico, durante la giornata, sarà congestionato. Voli cancellati, passeggeri trasferiti sul volo, che la sera stessa, doveva portarmi con Oliviero a casa, occupando i pochi posti ancora disponibili per chi, come noi, viaggiava senza diritto alla prenotazione. Alle prime ore della sera l’aeroporto è chiuso per neve! Le previsioni non danno speranza di miglioramenti. C’è ancora un’altra possibilità per rincasare, prendere il treno. La “Grande Corrente” doveva mettere alla prova, ancora una volta, le nostre forze fisiche ed emotive. Sciopero dei treni in Italia! Niente cuccette, alla frontiera nessuno sa come “l’odissea”, per raggiungere Roma, si evolverà. E’ mezzanotte, il treno, rombando, lascia la Svizzera e attraversa il Sempione. La sua corsa si arresta 500 metri prima della stazione di Iselle; altri treni sono accodati sui binari. Fuori nevica abbondantemente, ma i passeggeri vengono “invitati” a scendere sui binari, sprofondando per parecchi centimetri nella neve, e ad aprirsi un varco per arrivare a piedi in stazione dove un servizio alternativo di autobus ci avrebbe portato a Domodossola. Si sale su un treno che nessun sa quando partirà. Strani personaggi si affacciano negli scompartimenti bui, una, due volte, come predatori che fiutano la loro preda! L’odissea va avanti con varie fermate interminabili. Nel tardo pomeriggio del sabato arriviamo a Roma. Lacrime di stress represso rigano i nostri volti! Poche ore da trascorrere in famiglia e già l’indomani Irene dovrà riaccompagnare Oliviero. Altri aerei, altre trepidazioni.

Oliviero sta per compiere diciotto anni. Il distretto militare, da me interpellato in anticipo sull’arrivo della “cartolina rosa”, mi dà vaghe assicurazioni; il caso di Oliviero non è contemplato; bisogna presentarsi al distretto per la chiamata alle armi! Tutto si svolgerà velocemente assicurano… La “Grande Corrente” ci lanciava una nuova sfida! Al presidio dell’arruolamento, mi presento con Oliviero, ma le cose sono diverse da quelle che mi sono state annunciate. Bisogna fare la fila insieme con tanti giovani che, come Oliviero, in mutande devono essere misurati e scrutati. Uno degli scrutatori, in camice bianco e stellette, ravvisa nella nenia che Oliviero canticchia per rassicurarsi una mistificazione; non se la sente di prendersi la responsabilità di un esonero per un ragazzo che ha due gambe, due braccia, due occhi dallo sguardo sfuggente e una bella voce musicalmente intonata. Oliviero è arruolato per tre giorni all’ospedale militare del Celio! Altri scrutatori sottomettono Oliviero ad indagini. Solo per un problema organizzativo, data la mia insistente presenza, ad Oliviero viene dato un “permesso di libera uscita” per tornare a casa a dormire, ma l’indomani alle sette e trenta bisognava rientrare in “caserma”! Violenze… con le quali un sistema generalizzato discrimina chi ha solo bisogno di solidarietà sociale e rispetto della dignità umana. Alla fine tutti si convincono: Oliviero è esonerato dal servizio militare. Prima di lasciare il Celio siamo “invitati” a ritirare alla cassa il soldo: la paga per tre giorni di umiliazioni e mortificazioni.

Oliviero, per la legge, è ormai adulto. Noi genitori non possiamo più agire a suo nome per far valere i suoi diritti nei meandri della burocrazia. Bisogna procedere per vie legali con l’interdizione! Sul tavolo del giudice tutelare un fascicolo contenente, tra l’altro, decine di  “nulla osta” richiesti a tutti i nostri parenti sino al quarto grado, porta a chiare lettere la dicitura  “Procedimento …Vincenzo contro Oliviero”. Padre contro il proprio figlio!

Tre episodi di vita vissuta, scelti tra i tanti, che rendono evidenti parossismi d’idee, di diritti degli uni che stravolgono quelli degli altri, di comportamenti i quali, al confronto con individualità umane che non rientrano in determinati schemi e modelli, possono sfociare nel ridicolo!

Tanti altri genitori, come noi, hanno trovato, nella complementarità della loro unione, forze che non immaginavano nemmeno di avere; forze che hanno permesso loro di non lasciarsi sommergere, isolare e annichilare da “autismo che crea autismo” e dare priorità e spazio nella propria vita ai sentimenti, ai principi cardine dell’educazione ricevuta, alle attese reclamate dalla propria personalità. Solo in un contesto così delineato è possibile “integrare”, “curare”, “armonizzare” e ritrovarsi …sotto un cielo terso e pieno di stelle circondati da tepori rischiarati dalle fiamme di un camino!

                                                       Vincenzo e Irene Ruisi

In questo momento di abbandono totale da parte delle istituzioni mi rivolgo a voi per ottenere aiuto e sostegno. Vi prego non abbandonateci, non abbiamo più dove bussare.

Mio figlio M.T. di 23 anni da circa due mesi e mezzo è in crisi con un lungo calvario alle spalle: il figlio più di nome F. di 32 anni era affetto dagli stessi disturbi che lo hanno portato alla morte per impiccagione.

AIUTATECI prima che accada qualcosa anche a M. Stamattina dopo una notte intera di affanni, minacce e pianti cambiando continuamente di umore, tra l'euforico e la paura si è recato a piedi (fra le 4-4:15 di notte) al pronto soccorso dell'ospedale di Vimercate, dove momentaneamente siamo ospiti di un altro figlio. Insomma è andato in ospedale per chiedere aiuto anche se in malo modo, quello è il suo modo di fare e di chiedere aiuto, dibattendosi come un forsennato. Alle 5:00 mi viene detto: signora può andare noi aspettiamo lo psichiatra e poi le faremo sapere.

Alle 7:30 mi decido a telefonare per chiedere notizie e mi rispondono: è stato dimesso dal dott. Albertini perchè quando lui lo ha visto era tranquillo. Naturale che dopo una notte senza dormire, dibattendosi come un forsennato, non aveva neanche più le forze per parlare a quell'ora e poi uno psichiatra come fa a non sapere che queste persone con questa sofferenza cambiano di umore continuamente? (ndr.: a dimostrazione che in Italia gli ammalati non vengono nemmeno tenuti sotto osservazione per un po' di ore...!!!!!)

Il fatto è che adesso mio figlio è in mezzo ad una strada senza mangiare, senza cure, senza denaro: dove sarà?!? Cosa farà? Gli faranno del male? Lo useranno? Farà male a qualcuno? Uno dei miei figli si è impiccato e di questo che cosa ne sarà? Aspettiamo che combini qualche reato per buttarlo in galera?

Tutto questo è assurdo, ma è una tragica realtà. Siamo alle soglie del duemila e siamo ancora fermi a questo punto. AIUTATEMI prima che sia troppo tardi: lui ha bisogno solo di cure e di AIUTO.

Cordiali saluti, N.T., Vimercate

Spett.le Associazione, ho veramente bisogno di un consiglio, di un aiuto.

Mio figlio sta male già da un anno e mezzo, ma i medici dicono che non bisogna intervenire per "non psichiatrizzare". In questi ultimi giorni mi ha minacciato col coltello perché crede che io sia a capo di una congiura contro di lui.

Ho chiesto l'intervento del Centro di Salute Mentale, pare si muoveranno. Quello che chiedo è questo: cosa e come posso fare per avere aiuto da loro?

Cosa posso eventualmente pretendere se loro non possono far niente? Datemi una mano perché conoscere significa sapersi difendere e soprattutto dare una mano al mio ragazzo.

Spett.le Associazione Psiche 2000, conservo gelosamente la pagina di Famiglia Cristiana con il vostro articolo; ha fotografato la mia situazione: sono sola con due figli malati di mente di 32 e 31 anni. Ho 62 anni e aspetto solo il felice giorno della morte, che verrà a porre fine alla piùinfelice delle vite. Ho bussato a tutte le porte, ho chiesto aiuto a tutti, ho finito e venduto tutto quello che avevo, alla ricerca di una nuova terapia...

Pensi che i miei vicini sanno che ne ho uno ammalato, non sanno dell'altro, laureato in geologia, che dopo avermi aiutato disperatamente si è ammalato anche lui. Ho cinque figli: mio marito è morto di infarto e io vivo nel terrore di vere ammalarsi anche gli altri.

È proprio l'ultimo aiuto che chiedo, qui a Perugia non c'è niente, sono tutti atei e rossi e senza amore per gli altri; vivo la peggiore vicenda, nel peggiore paese del mondo; qui i cristiani sono senza pietà. Grazie per l'articolo anche se non potrà fare niente per me.

Avevo molti progetti per mio figlio e, dato che dimostrava di essere un ragazzo molto intelligente, tutto faceva sperare per un futuro promettente. Ma ad un certo punto tutti i miei sogni sono svaniti quando, per un crudele destino della vita, il ragazzo iniziò a manifestare i primi sintomi di un disturbo mentale che si sarebbe acuito sempre di più denotando un progressivo allontanamento dalla realtà, unito ad un forte astio verso quanti tentavano disperatamente di aiutarlo, soprattutto verso di me.  

Ci vollero mesi, anni, prima che mi rendessi conto della gravità della malattia, rifiutavo che fosse così, e il dover difendermi da lui poiché aveva ed ha manifestazioni violente; è diventata una continua e costante angoscia.

In questi anni di sofferenza vedevo il suo sguardo smarrito e chiuso in sé, in un mutismo assente, come se la vita gli fosse vuota. Ed io sono qui a chiedermi se è stato fatto tutto quello che si doveva, prima di cadere in questo tunnel che ha portato all'autodistruzione, al degradamento della personalità.

In questa atmosfera insostenibile di tensione e di paura, per noi è triste pensare che per tutta la vita lui dovrà combattere tra la fantasia e la realtà in un mondo caotico (come lo definisce lui) ed irreale, schiavo della sua malattia e mi domando quale sarà il suo destino quando non saremo più in grado di assisterlo.

Sono madre di uno schizofrenico che non vuole curarsi. Si è ammalato a 16 anni e fino ai 25/26 siamo riusciti a fargli fare delle cure efficaci cosicché ha migliorato la sua cultura e la sua intelligenza, che è più che normale. Ma se era difficile curarlo prima, figuriamoci ora dopo la legge 180.

Lo vedo rovinarsi giorno per giorno. Ha perduto ormai quasi tutti i denti, ha una nevralgia facciale per le notti passate dormendo fuori anche al freddo (soffre di manie di persecuzione e quando si acutizza scappa dove capita).

Eppure è ormai un uomo, di sentimenti gentili: è pittore (ha frequentato due anni di Accademia riuscendo bene) e a volte vende i suoi quadri a prezzi molto buono. Io, sua madre, non posso stare con lui e faccio una vita precaria: da un'amica, da un parente: come si può seguitare così?

Le rare volte che ho potuto farlo portare in ospedale obbligatoriamente con una iniezione di Modoten ridiventava quasi sano. Ma fuori nessuno lo segue, né lui ascolta me o i parenti e si ricomincia daccapo. Quando si rimedierà a questo stato di cose, se ancora non preparano nè il personale nè i locali, avendo distrutto ciò che si poteva migliorare?

 Ho più di 70 anni e amo questo figlio: lui mi vuole bene e mi odia allo stesso tempo. Cosa debbo fare? Nessuno può aiutarci?

Alcune settimane fa un folle ha ucciso la madre a Roma. Nessuno si è soffermato su quel dramma: è stato solo un fatto di cronaca.

Noi cristiani assistiamo a tutto questo senza far niente, come sentinelle mute. E invece bisogna scuotere le coscienze: qualche persona di buona volontà dovrà pur svegliarsi e decidere di fare qualcosa. Mi sono sempre chiesta perché c'è chi combatte tanti mali (Don Riboldi la Camorra, Muccioli, Don Picchi, Don Pierino e tanti altri per la droga...) ma per i malati dimente non c'è nessuno? SI fa tanto per il cancro e il diabete, l'Aids. Per la follia nulla, silenzio assoluto. Una mamma con il figlio ammalato di Aids può ancora curarlo, assisterlo con amore; la malla di un folle non ha neppure questa povera consolazione.

Mio figlio di 28 anni e dal peso di quasi due quintali, rifiuta ogni tipo di cura da tre mesi e niente e nessuno può convincerlo a curarsi. Perché io, madre, non ho la libertà di curarlo? Devo aspettare che mio figlio commetta prima un crimine e poi interviene la legge. E questo è un delitto commesso non dal malato, ma da chi gli dà la possibilità di farlo.

Noi genitori - secondo lo Stato Italiano - dobbiamo vivere con il malato di mente. Ma che cosa siamo noi, carne da macello? Non abbiamo anche noi il diritto alla vita? Adesso io spendo per mio figlio 4-5 milioni al mese senza ottenere nulla e vivendo in continua agitazione per quanto può accadere da un momento all'altro.

Ma le nostre risorse stanno finendo. E poi? Parlate di noi, per favore, parlatene perché siamo in tanti a soffrire.