Friuli: Paziente "sconosciuto" al CIM dopo 20 anni...

Storie vere - La trieste realtà dei centri di salute mentale friulani, che non conoscono i loro pazienti
Racconto di un familiare di Udine

Come ti riabilito il paziente: cronaca di un colloquio tra un familiare e uno psichiatra

Il seguente colloquio ci è stato fornito via email da un visitatore. E' avvenuto nel gennaio 2001 tra un familiare e uno psichiatra. Il familiare ha reputato utile inviare un riassunto del colloquio, sotto forma di raccontino, allo scopo di informare tutti i cittadini, familiari e non, sul significato del termine riabilitazione e sulle proposte - simili a queste - che provengono dei Centri di Salute Mentale.

Non citiamo nè il Centro per difendere la privacy dei protagonisti, tutti i nomi vengono riportati sotto sigla:

F. è il familiare

P. è lo psichiatra
Z. è il paziente.

La storia di Z.

Z. è un paziente schizofrenico "noto" al locale Centro di Salute Mentale fin dal 1980. Si intende qui "noto" più che "seguito", come vedremo più avanti.

Per un decennio non è stato seguito correttamente ed i familiari si sono arrangiati perlopiù celando i farmaci nel cibo; diversamente poteva diventare aggressivo e vivere in delirio. Si è sempre comportato in modo manipolatorio ed egoista, pensando per se stesso, con un appiattimento affettivo verso chi lo circonda.

I genitori - molti adottano queste strategie - all'inizio hanno negato l'esistenza della malattia (è difficile accettare un figlio fino l'altro giorno sano, ora schizofrenico) per almeno un paio di anni, poi dopo un gesto aggressivo si sono rivolti ad uno psichiatra privato che ha fatto la diagnosi. Il medico del Centro ha sempre minimizzato i sintomi e quindi, senza emettere una diagnosi e non informando i genitori, ha fatto perdere del tempo prezioso per la possibile cura. Il medico dopo qualche anno lo ha avviato al lavoro offrendo una borsa lavoro (una sorta di lavoro pagato dalla Regione) e Z. ha lavorato per soli 10 giorni. Z. ha vissuto così fino agli anni '90 e solo verso il 1993 un medico ha tentato forme di recupero, tutte fallite. Nel 1995 il padre di Z. scompare dopo anni di sofferenze causate da una grave malattia. Restano in famiglia la madre e Z.; nel 2000 la madre di Z. e' colpita da una grave malattia e viene ospitata presso una casa di riposo.

Dal 1984 in poi Z. non ha mai collaborato per una faccenda domestica, dormendo di giorno, stando sveglio spesso la notte, periodicamente parlando da solo (quindi sentendo delle voci); in pratica non è autonomo negli aspetti quotidiani della vita perchè si attende che altri lo sostituiscano.

Negli ultimi tempi...

Z. ha un familiare che ha scritto il resoconto di questo colloquio (F.).
Racconta F. "Z. ha subito nel corso degli ultimi dieci anni due trattamenti sanitari obbligatori, attuati con notevole ritardo, perchè non voleva sottoporsi alle cure. L'ultimo è avvenuto due anni fa. Dopo quel provvedimento, nel quale Z. è deperito perchè non si nutriva (pensava che il cibo fosse avvelenato) Z. è dimagrito ulteriormente. Pur malato nel fisico, si è recato ogni giorno al Centro per assumere la terapia. Ma negli ultimi 3 anni un medico che tentava di far qualcosa se ne è andato, così l'assistenza domiciliare non è stata più fatta." Dato che i medici non si sono fatti più sentire nè hanno organizzato alcuna riunione di familiari e vista la malattia della madre di Z., non ho potuto certamente partecipare alle attività del Centro. Mi sono premurato varie volte di segnalare che Z. non assumeva i farmaci e le risposte sono state evasive.

Finchè a metà gennaio 2001 ho ricevuto una lettera raccomandata da parte del Centro. Sono rimasto sorpreso di questa forma di convocazione, via lettera; se conoscono il mio indirizzo (F. vive lontano da Z.) perchè non mi hanno cercato al telefono?

Per prendere appuntamento ho chiamato immediatamente il Centro; mi passano il medico che dice "Sa, sig. F. ho avvisato molte volte il suo parente malato Z. pregandolo di avvertirla che avrei piacere di parlare con Lei". Penso tra di me "partiamo già con il piede sbagliato, può un medico non capire che Z., proprio per la sua malattia, è inaffidabile e si dimentica le cose o non vuole riferirle?"
Infatti Z. non aveva mai avvertito il proprio parente delle richieste avanzate dal medico psichiatra P.
Viene stabilita una data per il colloquio e F. si presenta dallo psichiatra P. presso il locale Centro.

Il colloquio, parte I - Sono psichiatra da 8 mesi ma non so chi sono i mie pazienti!

La discussione avviene con cordialità, ma sono i contenuti che lasceranno perplessi i visitatori del sito SOS PSICHE.- Questo colloqui infatti è molto istruttivo e dovrebbe aiutare tutti i familiari a capire ed interpretare le risposte dei medici.

* * * *

Apre il colloquio F. - il familiare - che viene accolto nello studio del medico-psichiatra: "Eccoci qui, allora. Mi dica."

P. che già da 8 mesi opera nel Centro (attenzione, memorizzate questo tempo, poi capirete) inizia il discorso. "La ho fatta chiamare perchè noi abbiamo notato diversi miglioramenti in suo fratello. E' da diverso tempo che lui stesso chiede di poter fare un lavoro (nota. nel corso degli ultimi anni Z. ha sempre detto delle cose poi negate a distanza di breve tempo, anche un'ora o due, per poi ripeterle). Ah si, ho cercato i familiari, lei ha un altro fratello?".

F. risponde (pensando un po' sconcertato - questo medico non conosce la situazione familiare, dopo tante volte che son venuto al Centro): "no, ci siamo solo io e mio fratello"
(nota.: ha avuto 8 mesi di tempo per aggiornarsi sulla situazione del paziente Z., come puo' presentare un progetto riabilitativo se non ha notizie di come e dove vive Z.?!? Questo Centro compila le cartelle cliniche dei pazienti.... e questo paziente non è seguito dal Centro fino dal 1984?!?)

P.: "Siccome con i precedenti medici lui è venuto qui al Centro per assumere i farmaci e tutto sommato è ancora giovane, noi pensiamo che si possano fare diverse cose e riabilitarlo. Infatti, dato che gioca la schedina, va a comprarsi le sigarette, ha qualche relazione sociale, riteniamo questi segni positivi quindi lui può anche lavorare".

F. chiede un chiarimento: "Cosa intende per 'lavorare'? Forse una borsa-lavoro?"

Lo psichiatra: "No, non una borsa lavoro. Sto parlando di un vero e proprio lavoro."

Osserva F.: "la proposta mi pare veramente strana. Penso che Z. non abbia le capacità per fare un lavoro. Infatti a casa si comporta nel seguente modo: non fa il letto, se cade dello zucchero o caffè per terra non pulisce, non lava i piatti o i bicchieri. Lei sa quale è la attuale situazione familiare?".

P. risponde: "So che suo fratello ha uno stipendio di..... mi pare 1 milione e mezzo... non è invalido totale?"

(F. pensa tra sè: "Che cavolo di medico è questo? Presumo che per Z. conosciuto da oltre 20 anni, abbiano preso qualche appunto nella 'famosa' cartella clinica che dovrebbe essere aperta per legge nei confronti di ogni paziente.....")

F. ribadisce: "Guardi, dott. P. che Z. dal 1985 circa è invalido al 74% e che la pensione assegnata ad un invalido parziale ammonta a quelle 500.000 lire stabilite per legge...."

P. continua "ad ogni modo fa una bella vita, diciamo. Lui ha questi soldi, poi quando serve si rivolge a lei, F. e lo usa, in pratica pur essendo malato ha notevoli capacità di farsi sostituire e quindi ne approfitta, in pratica vuol seguitare a vivere nella bambagia".

F. dice: "non sono d'accordo. Infatti so che la tendenza di numerose famiglie è quella alla fine di proteggere Z. ed anche i miei a suo tempo lo hanno fatto. E' un errore perchè il familiare non viene spinto a fare le cose minime. Però nemmeno i medici sanno come risolvere questo problema e tante volte non se ne occupano. Per quanto riguada il fatto che io sarei usato, le ricordo che una volta la settimana, dato che il Centro non è aperto la domenica. Z. quindi deve alimentarsi ed io acquisto i generi alimentari (es. frutta, brioches, ecc.) per la settimana e qualcosa di precotto per la domenica. La gente in giro sta già dicendo che io F. non mi occupo di mio fratello Z."

Prosegue P.: "Capisco. D'altronde abbiano notato che negli ultimi tempi suo fratello ha fatto grossi progressi. Siccome va a giocare la schedina, si compra le sigarette. Secondo me è un furbo: infatti se fa queste cose ne può fare anche altre"
(nota. sono attività quotidiane che svolge da anni e nel suo preciso interesse... e certamente non è un paziente che sta li' fermo ad attendere tutto, riteniamo che abbia le capacità per fare altre cose...")

Il colloquio, parte II - familiare manipolato...?

F. chiede un chiarimento: "Quindi se fa il furbo vuol dire che agisce di propria volonta'. Da questo deduco che quando mi insulta o e' aggressivo con me perche' avanza pretese assurde ed io rispondo di 'no' che ci sia un lato di cattiveria. Eh si, perchè se c'è volontà allora c'e' cattiveria."

Risponde P.: "no, è solo malato"
(nota: il malato cambia status da sano a malato a seconda del momento)

F. continua: "Secondo me è malato e non capisce cosa fa, per me la volontà non c'è"

P. ribadisce: "No, il mio parere è che la volontà sia all'80%. Vede, quando lui ha bisogno di qualcosa ne approfitta, si appoggia sugli altri e usa anche Lei."

F. prontamente: "Non mi sento usato. So cosa è la manipolazione. Io gli passo solo gli alimenti e il minimonecessario, d'altronde ho delle responsabilità per legge".
(nota: che fare, abbandonarlo? Così poi arrivano i carabinieri a casa mia o c'e' una denuncia per omissione di assistenza?).

Il colloquio, parte III - Lo psichiatra sa poco e nulla della situazione familiare!

F. chiede "Lei è al corrente della situazione familiare?"

P. risponde "Mi dica, so che..... si so che la madre non sta tanto bene.... forse è ricoverata da qualche parte? E' tornata a casa?"
(nota. la madre fin da 6 mesi prima è stata ricoverata tre volte in ospedale e F. si è rivolto ad medico collega di P. diverse volte spiegando l'intera situazione - come mai P. non conosce questi aspetti? Non si parlano tra medici o manca una cartella clinica?)

F.: "Bene, dottor P., le spiego quale è la situazione. La madre si trova in casa di riposo e ci costa 3.000.000 di lire al mese, più circa 500 mila lire per pagare una persona che la assista, come vede non c'e' del denaro per assistere il malato Z. e tra non molto sorgeranno problemi economici in quanto non abbiamo denaro per sostenere tutte queste spese. Le ricordo che Z. a casa non alza un dito, non alza una forchetta, non fa nulla. C'e' una signora che viene una volta la settimana a far le pulizie e ci costa.".

A questo punto lo psichiatra P. apre un cassetto ed estrae un foglio bianco sul quale annota qualcosa circa la situazione.

P. continua: "Vede, lo scopo del Centro è quello di organizzare i servizi socio-assistenziali del Comune per garantire una sorta di assistenza a questi pazienti. Lei perchè non si è rivolto al Comune?"

Risponde F. "Dottor P., mi sono rivolto più volte al Comune e l'altra estate ho inviato una lettera raccomandata in duplice copia (al Centro di Salute Mentale e Comune - nota: perchè il medico non sa nulla di questa lettera?) poi ho parlato con l'assistente sociale, ma a quanto vedo non la ha chiamata. Inoltre ho dovuto revocare l'assistenza per le pulizie da parte del Comune perchè lasciava a desiderare e quel che è più scandaloso è che quando ho parlato con il responsabile praticamente non si è preoccupato di questa affermazione nè di migliorare il servizio"

Lo psichiatra P. dice "Vede, io non posso certamente occuparmi dei meccanismi di funzionamento del Comune o del livello di assistenza..... "
(nota. che risposta è: siamo alle solite, quando qualcuno non fa il suo dovere, la sinergia viene a mancare e i soggetti che devono collaborare si tirano indietro).

F.: "Capisco, però io ho assunto una persona per le pulizie, dato che Z. non alza un dito per garantire l'igiene a casa. Inoltre ho saputo che in Comune hanno paura di recarsi a casa. Ero d'accordo con l'assistente sociale che un addetto si sarebbe recato ogni mattina a trovare Z. per sollecitarlo a frequentare il Centro, infatti molte volte salta gli appuntamenti."
(nota. infatti ci sono delle responsabilità dei familiari sulle condizioni di vita dei pazienti, che fare?).

Lo psichiatra P. ribadisce: "di norma lui è qui da noi, viene la mattina, assume i farmaci e a mezzogiorno mangia con noi e segue il gruppo-cucina. Per i rapporti con il Comune ci arrangiamo noi del Centro."

F.: "non mi risulta, ad esempio l'altra settimana ha piovuto tre giorni di seguito e lui non si è fatto vivo, poi ha consumato tutti i generi alimentari che dovevano durare una settimana ed è rimasto a casa. Vede io come familiare ho delle responsabilità nei suoi confronti ed ho pensato di non dare ulteriori alimenti anche per una questione di spese in modo da forzarlo a venire al Centro."
(nota. così è andata diverse volte; naturalmente in tempi recenti il Centro si preoccupa di cercare il paziente Z. a casa con una telefonata e spesso lo fa SOLO se è sollecitato da un'altro parente di Z.).

P.: "Beh vede, di queste cose ce ne occupiamo noi, capisco che il suo sistema è uno dei tanti per forzarlo a venire qui da noi".

F.: "siccome non c'è proprio verso di fare un ragionamento seppur semplice con Z., il quale inveisce ed insulta ogni volta, dottor P. ho dovuto adottare questa strategia perchè secondo me bisogna fare 'terra bruciata' attorno ai pazienti di questo tipo in modo da forzarli con i fatti a fare quel che devono fare".

Lo psichiatra P. fa una breve pausa e annota sul foglio che "deve attivare l'assistenza domiciliare attraverso il Comune" - ignorando tutte le osservazioni di F., come se il suo parere non contasse nulla.

Il colloquio, parte IV - la diversa realtà casa-centro

 Lo psichiatra P. osserva "Certo, però noi qui abbiamo notato che il paziente Z. nel Centro di recente partecipa alle attività (nota. osservazione di F.: per 'recente' si intende da 1 mese circa, un periodo trascurabile per fornire un quadro corretto dell'impegno...) ed abbiamo costituito un gruppo-cucina. Mentre prima i pazienti venivano qui e fumavano, si mettevano sui divani a poltrire, ora vogliamo tenerli impegnati ed insegnare loro qualcosa, per uscire dalla logica del Centro-Manicomio che si occupa solo dei pazienti per ospitarli e non insegnare loro nulla."

F.: "Sono d'accordo con lei, è quello che si attendono le famiglie. E' giusto fare dei tentativi ed è quello che mi aspetto. Però c'e' qualcosa che non va: come mai il paziente Z. a casa non fa nulla per se stesso e Lei qui mi dice che è impegnato in queste attività?"

P. risponde "Vede, il fatto che ci troviamo qui oggi è per chiarire un progetto riabilitativo per Z. (nota. risposta che non affronta l'argomento e porta il discorso su altri fronti)."

F.: "Bene, mi dica allora le sue intenzioni"

P.: "Noi non vogliamo dare a Z. un semplice lavoro, bensì un vero lavoro".

F.: "Forse prima mi sono spiegato male. Le ricordo che Z. a casa non fa nulla; se per 'vero lavoro' si intende l'assunzione di una responsabilità, come fa Z. a seguire un 'vero lavoro' se prima non assume le responsabilità di gestione della propria vita quotidiana? Ho piacere che venga proposto un progetto riabilitativo. Ho letto qualcosa in Internet e penso che qui manchi un tassello al mosaico, ovvero Lei vuole avviarlo ad un lavoro senza prima renderlo autonomo sulle cose di base".

P. lo psichiatra continua: "Vede lui è da tanto tempo che viene qui al Centro (nota: con quali risultati?) - io penso che questo sia un luogo stigmatizzante e che bisogna staccarlo dal Centro, senza perderlo di vista però. Non significa che noi lo abbandoniamo, è un percorso per renderlo autonomo".
(nota. F. il fratello parla della situazione reale, il medico dimostra di avere una coscienza ferma agli anni '70, proprio non capisce che le condizioni di base non ci sono, inoltre il paziente Z. notoriamente se lasciato solo non assume da solo i farmaci - più volte negli ultimi 6 mesi delirava, quindi un allontanamento significa anche una possibile riduzione delle cure farmacologiche).

F. allora aggiunge: "Sarà una questione di modelli riabilitativi. So che alcuni psichiatri affermano che 'la riabilitazione anche lavorativa inizia il giorno seguente dalle dimissioni dall'ospedale' ma sono poco convinto di questo."

(nota. F. conosce bene la situazione e sa perfettamente grazie a SOS PSICHE che in altre realtà, ad esempio negli USA, esistono modelli riabilitativi come il PACT dove una persona all'inizio viene ospitata presso una struttura; una volta che ha imparato a fare le cose quotidiane, ad alzarsi alle 8, a farsi il letto e da mangiare, si attua un TP, un programma di lavoro transizionale ove cambia continuamente posto di lavoro e le responsabilità sono aumentate gradualmente".

P. ribadisce: "Vede noi studiamo questo progetto riabilitativo. Dunque non lo attuiamo subito, fra qualche tempo, nel frattempo dirò ai miei collaboratori di aumentare le responsabilità di Z. nell'ambito del gruppo-cucina".F. dice: "Non ho nulla in contrario affinchè avvenga questo. Dopo tanti anni di fallimenti ed abbandono ho piacere che qualcuno si occupi di Z.. Ricordo però che in precedenza era stato avviato ad una borsa lavoro e che ha lavorato solo dieci giorni. Inoltre non ha senso inviare Z: a lavorare, come fatto nel passato, da solo senza che nessuno lo segua o controlli."

P. annuncia: "Oggi non sarà certamente così."
(nota. chissà cosa intendeva dire...?)

F.: "Personalmente ritengo che sia positivo il fatto di spingere Z. come tutti i pazienti verso l'autonomia e non ostacolo il progetto pur non condividendo. Ho detto a Z. che può andare a lavorare se se la sente, e questo può essere un buon sistema, qualora funzionasse - ma ne dubito - per coprire le spese a casa. Le ricordo anche che spendo 800.000 lire al mese in più oltre la retta per la mamma di Z., inoltre ci sono le spese per il mantenimento della casa, circa 3 milioni annui".
(nota. questo serve a chiarire le cose, perchè se i progetti falliscono poi gli psichiatri dicono che sono stati ostacolati dai pazienti; mi viene un dubbio - forse qui non si tratta di riabilitare in senso stretto, quanto di 'togliersi dai piedi' un paziente un po' scomodo al Centro...)

Il colloquio, parte V - esiste una cartella clinica?

P. lo psichiatra chiede: "Quindi Z. vive in un appartamento o qualcosa del genere?"
(nota. di nuovo: esiste una cartella clinica o degli appunti sulla situazione familiare del paziente 'noto' al Centro fin dagli anni '80?!?)

F. informa lo psichiatra: "Sì, si tratta di un appartamento di 120 mq. che è troppo grande per lui, più avanti dovrò pensare di venderlo se il ritmo delle spese per la mamma aumenta. Non ci sono soldi. Vede ho chiesto un alloggio popolare al Comune in quanto Z. è nullatenente".

P. lo psichiatra (nota. F. il familiare è attento, alza le antenne e studia i comportamenti, ha letto vari libri di psicologia) ha un balzo, si gira e afferra il foglio di carta e scrive le dimensioni dell'appartamento sul foglio, dimostrando un insolito e inaspettato interesse alla cosa..

Nota bene: questo è il primo incontro tra i due. Successivamente giocherella con la penna schiribicciando attorno alla cifra dei mq. e chiede: "Quindi è un bell'appartamento grande. Sa, io.... vorrei proporle una cosa. Vede altrove..... sì, insomma si potrebbe studiare un contratto. Naturalmente ben fatto. Cioè avrei idea - dato che l'appartamento è grande, di inserire un altro malato."

(Nota: con quale faccia tosta si può avanzare una simile proposta al primo incontro e vista l'attenzione scadente data nel passato a Z.?!?)

Questa proposta lascia stupito per un attimo F. Siamo al primo incontro, i medici negli anni precedenti hanno commesso errori o si sono disinteressati della situazione nè hanno mai formulato piani di recupero seri per garantire la presenza al Centro dei pazienti. Ora, di punto in bianco lo psichiatra P. avanza una proposta del genere che sembra per giunta avventata, fuori luogo e inadeguata. Come si permette di avanzare una simile idea se almeno prima non viene riscontrato un rapporto di fiducia? Non è mica uno scherzo concedere un appartamento ad uno sconosciuto, frutto dei sacrifici di una intera vita...

F. risponde, dopo un istante e senza alcuna esitazione: "Assolutamente no. Le ricordo che i proventi che derivano da una eventuale vendita o affitto servono per coprire le spese future ed i bisogni del malato Z., mio fratello"
(Nota: ma questo psichiatra P. ha capito o no le spese che sono state sostenute nel passato da F. e quelle che dovrà sostenere nel futuro? Quali interessi ha a proporre questa strana idea? ).

Di contro P. lo psichiatra chiede: "Chi è il proprietario dell'appartamento?"
(Nota. questa domanda non è altro che un tentativo di aggirare il rifiuto di F.; se P. individua il proprietario e questo dice di sì, magari è fatta!)

F. tranquillamente risponde: "Della madre. Quindi non si tocca; inoltre io sono l'erede - unitamente a Z."

Terminato questa fase, lo psichiatra P. ripete: "beh, bene, allora noi proseguiamo nel piano, dato che ci sono possibilità di recupero"

F. a questo punto conclude: "D'accordo, io non ostacolo il piano, ho le mie opinioni in merito, quindi si vedrà come andrà a finire".

F. alla fine chiede allo psichiatra P. di predisporre un piano scritto e si concorda di fare una riunione con Z. presente per chiarire gli obblighi di Z.

F. fa notare che spesso in queste riunioni non si riesce a dire tutto perchè con Z. presente i familiari non possono fare osservazioni o parlare di comportamenti anomali tenuti da Z., pena ritorsioni, insulti o aggressioni.

P. informa che la riunione ha lo scopo di verificare insieme il progetto. F. approva con le riserve sopra descritte.

F. è uscito tante volte deluso dal Centro. Non ha senso arrabbiarsi, anche se le conseguenze dei fallimenti altrui ricadono emotivamente ed economicamente sulla famiglia. F. è sereno, ha sostenuto assertivamente il suo punto di vista, dicendo ciò che pensa.

Seguono i saluti e il congedo di F. dallo studio.

 

* * * * 

Come è proseguita la vicenda

Qualche mese dopo F.  ha deciso di coinvolgere il Comune e immediatamente,  nonostante che lo psichiatra P. si rifiutasse di farlo, ha assegnato tutti i benefici (lavanderia, pasti, ecc.) a domicilio del paziente.

In un successivo incontro a tre con F., lo psichiatra e un assistente sociale del comune lo psichiatra ha avuto un atteggiamento provocatorio nei confronti del familiare; ne è seguito un reclamo che notoriamente implica una risposta da parte dell'amico dello psichiatra, suo capo. Una risposta diversa del reclamo, dando le colpe al familiari, è stato inviato ad insaputa dello stesso al Comune; F. ha ricevuto una diversa risposta.

In pratica il Centro senza avvisare F. ha declinato ogni piano e responsabilità, fatto questo gravissimo. F. è venuto a conoscenza di questa corrispondenza solo dopo aver letto la cartella clinica e un paio d'anni più tardi.

Z. dopo 3 anni ha ricevuto un alloggio popolare, che gli consente di vivere nel territorio, grazie al solo interessamento del fratello e del Comune di appartenenza.

Ad ogni modo P. continua ad operare in un Centro che viene smantellato progressivamente, dove non si svolge più alcuna attività riabilitativa, a tutto e unico favore delle cooperative esterne. Nel Centro c'era una cucina e un forno da ceramica da 20 milioni buttato in cantina, sprechi tutti Italiani.

Nonostante le pesanti critiche pervenute da una ventina di comuni del circondario, tramite sindaci che hanno recepito i bisogni delle famiglie, lo psichiatra P. continua ad organizzare convegni e manifestazioni invitando anche medici dall'estero per "far vedere quanto bene funziona il suo Dipartimento".

Conclusioni

L'impegno di P., data l'intera situazione familiare ben descritta nel testo sopra, è valido e necessario. Quel che lascia perplessi è l'esagerazione nel vedere "sano e riabilitabile" un soggetto come Z. che a casa non svolge alcuna funzione domestica.

Si noti che un fallimento per il paziente schizofrenico Z. significa:

1. una successiva e più ampia difficoltà ad attuare un piano riabilitativo; infatti Z. come tutti i pazienti, vive nella paura e quindi se le cose non vanno bene, rifiuterà altri lavori - il reinserimento lavorativo va fatto ad hoc e nel momento giusto, probabilmente lo psichiatra P. sta anticipando troppo i tempi:

2. i costi di un fallimento ricadono sempre sulla famiglia, che di norma e per legge deve occuparsi del paziente e sobbarcarsi le spese future per il sostentamento.

3. è noto che le storie passate di Z. ed i fallimenti (un medico nel 1993 aveva annunciato pomposamente che ci sono le medesime possibilità di oggi annunciate da P.) fanno sperare poco.

4. in luogo di un lavoro 'vero e proprio' si sarebbe potuto pensare ad una forma graduale di inserimento - il rischio qui è di 'sbattere' un paziente in un ambiente lavorativo, senza averlo istruito prima a pensare alle proprie responsabilità, con il rischio di un abbandono del posto dopo breve tempo.

5. come può un paziente che non ha assunto le responsabilità di vita nei propri confronti assumere delle responsabilità per gli altri - tale è il rapporto di lavoro?

6. c'e' poi la 'strana' questione dell'appartamento. F. si chiede che senso ha e come sia scaturita una simile proposta. Nella mente dei medici come P. che si sono battuti anni fa per chiudere i manicomi con tanta veemenza e forza, non esiste più alcuna voglia di protestare presso i politici per ottenere degli alloggi per pazienti. Pensano infatti che i familiari debbano provvedere a tutto?

Infine, ricordiamo ai familiari di essere obiettivi e non lasciarsi illudere. F. nel corso della sua esperienza ha conosciuto altri familiari e si è confrontato con loro.
Spesso quando un nuovo medico arriva in un Centro di Salute Mentale ed inizia ad esporre i propri piani, i familiari vedono una specie di 'salvatore' davanti a loro e quando sentono che il proprio paziente può andare a lavorare, si fanno false aspettative. Incensano il medico dicendo a destra e a manca che è 'bravissimo', poi dopo qualche mese dicono tutto il contrario.

E' una situazione triste ma vera: molti di noi vogliono sentirsi dire solo che il proprio figlio o fratello è normale, non è diverso dagli altri, che si può riabilitare. Il medico che lo fa, il mago interpellato che appare in televisione, qualsiasi altra persona è benvenuta ed adorata quando lo dice.

Quando un piano riabilitativo viene proposto, fate sempre delle domande, chiedete tutti i chiarimenti e fatevelo mettere in forma scritta. Se non concordate NON firmate, a meno che non siano incluse le vostre osservazioni.

Teniamo sempre i piedi per terra.

 

Un familiare dal Friuli, Udine 2002