Basta chiamarli matti, aboliamo il termine e restituiamo loro la dignità di persone

 

"Mi sono divertito come un matto", "Vicolo dei matti numero 10"; anni fa suonava un ritornello in un programma TV cabaret "matti matti matti… " e così via, fino alle barzellette che "fanno ridere".

"Matto" per  noi famigliari è un termine del tutto dispregiativo, emarginante. Pensate per un momento  al modo di dire "mi sono divertito alla grande come un matto", "abbiamo riso come matti",  detti forse derivati dal fatto che lo schizofrenico di solito ride da solo, ma non certamente perché interiormente è felice e si diverte. Chi ha un familiare malato, paziente mentale psicotico o schizofrenico, a sentir questo termine ne soffre enormemente, figuriamoci chi è affetto da un disturbo mentale.

Diciamo che se al giorno d'oggi nei documenti scientifici o siti di solidarietà parlassimo di "ubriacone" riferendoci ad una persona che soffre da una dipendenza d'alcol, o peggio ancora "mongoloide" per un disabile down, probabilmente il risultato sarebbe ben diverso, fino a scatenare una rivolta degli indignati familiari e del pubblico. I nostri famigliari stanno zitti ie allora ci pensa sospsiche.it a dirlo.

Da quasi una cinquantina d'anni, ovvero dal periodo di Basaglia, si usa sempre il termine "matto". Fino a formare di recente persino una squadra di calcio con questo nome e di usarlo estensivamente in rete proprio da quei siti che si battono così vivacemente e con energia, contro lo stigma. Anche gli psichiatri utilizzano questo termine che a nostro avviso è dispregiativo e per giunta le organizzazioni che li "rappresentano", pronte a gridare "al manicomio" per prime lo utilizzano:

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Tutto questo è un paradosso incredibile ed accade senza alcun cambiamento effettivo nel corso di tanti anni di proìmulgazione della legge 180.

Nel frattempo gli handicappati sono diventati prima "invalidi", poi "disabili" ed infine  "diversamente abili"; i "ciechi" sono "ipovedenti" e così via. La parità di genere ha imposto l'uso di un asterisco (*) per definire gli uni o gli altri ed evitare discriminazioni.

I "matti" invece sono rimasti "matti" e non  è stato fatto nulla per rompere lo stigma legato alla definizione di questo termine dispregiativo (pensate: "stupido", "povero matto", "bestia matta" e altro), da Treccani:

matto1 agg. e s. m. (f. -a) [forse lat. tardo mattus, matus «ubriaco»]. – 1. a. ant. Stupido, stolto: così m. come egli è, senza alcuna cagione è ... come bestia matta ...

Ma non è un controsenso che l'uso della parola "matto" sia diffuso tra chi difende Basaglia, che aprì i manicomi liberando le persone disturbate proprio in quanto non stupide, recuperabili alla società?  E finchè l'immagine fornita è di uno "stupido" quando invece non lo è, di "malato che si diverte" o gioca allegramente in una squadra di calcio, c'è poco da dire o da ridere, il grande pubblico ne ricava  percezione distorta e non di un vero e proprio problema o meglio disturbo mentale.

Si tratta di persone (così vanno definite!) con  gravi problemi  di salute, che vivono la condizione di malattia spesso emarginati, impoveriti, non curati, in solitudine e incompresi.

Basta! Finiamola di chiamarli matti, aboliamo il termine e restituiamo loro la dignità. Informiamo correttamente i cittadini su cosa sono i disturbi mentali, invalidanti e fonte grande sofferenza per le persone che ne sono affette e le loro famiglie