UMD in Francia

Sopra: un paziente dell'Henri Colin <br>mentre guarda la tv nella sala comune.

Si chiamano "Unità per Malati Difficili" e si trovano a Parigi. Accolgono psicotici e criminali troppo gravi sia per il carcere sia per l'ospedale. Ecco come tornano a vivere, in questo lungo articolo L'ultima casa dei folli de L'Express/Volpe,  23 aprile 2005.

Rosso. Come il sangue colato sulle mani di adolescente. Come l'angoscia che da allora popola le sue notti, lo sveglia di soprassalto, lo afferra alla gola. "Quando ripenso a quella sera, nella testa vedo solo rosso", mormora Fabrice. E racconta: "Ero andato a prendere un coltello da un amico. A casa, mia madre li aveva nascosti tutti, perchè ero diventato un po' strano. Non ne potevo più delle cure, le avevo sospese. Non capivo dove mi trovavo. E a quel punto...".

Si interrompe. "Sono state le voci che mi hanno ordinato di farlo. Mi hanno spinto fino in fondo. Ero fuori di me. Non riuscivo a controllare più niente, né il corpo né la testa. Le voci mi ripetevano: uccidilo, altrimenti sarà lui a uccidere te. Allora l'ho colpito".

Da quel giorno Fabrice è stato rinchiiuso in attesa di un probabile non luogo a procedere, con l'accusa di avere ucciso il fratello per effetto della schizofrenia. Da un anno vive in una parte dell'ospedale psichiatrico Paul-Guiraud, a Villejuif (Val-de-Marné), lungo la circonvallazione parigina. Si chiama Unità per Malati difficili (Umd) Henri-Colin ed è il fondo, l'ultimo girone della catena umana e delel cure mediche. "Malati difficili" è un eufemismo. Qui vengono scaricati quelli che nessuno vuole: nè gli ospedali psichiatrici né le prigioni. Quelli in cui la violenza, innescata dalla follia, si prende gioco di qualsiasi cura. Per entrare all'Umd bisogna avere picchiato o ucciso qualcuno per effetto di una patologia. O minacciare di farlo.

Come si entra all'Umd?

 All'Umd vengono ricoverati d'ufficio e curati con la forza, su decreto prefettizio, tre tipologie di pazienti. Anzitutto gli autori di crimini che, ritenuti irresponsabili ai sensi dell'articolo 122-1 del Codice Penale non andranno in prigione. Poi ci sono i detenuti profondamente disturbati dal punto di vista psichiatrico che rifiutano qualsiasi tipo di cura. E infine gli psicotici per cui i servizi di psichiatria si sono dichiarati impotenti: questi malati diventano sempre più numerosi, mentre mancano letti e personale.

Quanti Umd ci sono in Francia

In Francia esistono solo 4 Umd, per un totale di circa 400 posti. Due terzi dei pazienti hanno tra i 20 e i 34 anni, tre quarti sono uomini. Questi servizi speciali sono stati creati all'inizio del secolo scorso, per proteggere l'ordine sociale e impedire ai malati di mente di nuocere. Oggi sarebbe forse il caso di chiudere simili "cimiteri per pazzi" facendo rientrale le Umd in un percorso sanitario e togliendole dall'oblio in cui sono state relegate a partire dagli anni '60 in seguito all'apertura dei manicomi e allo sviluppo della psichiatria. "L'Umd? E' la' in fondo, non potete sbagliare, sembra una fortezza...", sospira una impiegata.

Bisogna attraversare tutto l'ospedale, oltrepassare i padiglioni di diversi settori.

Giunti a una grande cancellata bisogna suonare il citofono. Tutto attorno, un muro protegge dalla curiosità della gente.

"Odio la violenza" dice il dotto Christian Kottler, primario, che da nove anni regge il timone di questa nave formata da quattro psichiatri e 85 pazienti, ma solo 60 letti (che presto saranno 80). Davanti a sè ha visto sfilare, tra gli altri, molti serial killer e qualche cannibale.

"Che cosa facciamo qui? Accogliamo persone in grande difficoltà e cerchiamo di ridare loro un posto nella società. E' una sfida terapeutica, umana e sociale: ci troviamo di fronte a situazioni senza apparente via d'uscita, che nessuna struttura vuole più grestire, tranne noi". Occorrono tanta pazienza, una grande passione e anche tempo: in media sei mesi ma a volte anche un paio d'anni.

Il giorno in cui si ottiene la vittoria il malato viene rimandato nel suo istituto d'origine, prigione o ospedale psichiatrico che sia e  ne arriva un altro.

Le richieste di ammissione sono in aumento: lo scorso anno abbiamo toccato quota 250. "Quando arrivano qui questi pazienti vivono in un mondo che non è il nostro. Ognuno appartiene a una specie a sé", precisa Kottler. "Ma con il passare del tempo - ed è una cosa fantastica - si riesce a stabilire una forma di comunicazione, a condividere emozioni e a stabilire convenzioni&quo

In questa pagina troverete diverse immagini di pazienti e medici dell'Umd Henri-Colin. Le foto sono state scattate al padiglione 38, quello dei malati più instabili.

"Sento l'odio, non avvicinatevi"

Il cuore pulsante dell'Umd è il padiglione 38 con i suoi dieci pazienti che diventeranno 18 alla fine dei lavori.

Le regole sono severe: niente vestiti e oggetti personali, solo qualcosa da leggere. Si fa la siesta in pigiama o in mutande e ci si riveste nel corridoio comune. Nelle camere, provviste di doccia e wc, i letti sono fissati alle piastrelle del pavimento. Nella sala comune i tavoli sono sigillati e il televisore è chiuso in un cubo di plexiglas.

Pavimenti nudi, superfici lisce, angoli rivestiti di plastica. Non esistono coltelli né forchette: i cibi vengono serviti già tagliati in bocconi. I due piccoli cortili sono circondati dalle inferriate. Ogni sei metri, speciali sistemi d'allarme. Per non rischiare, c'è una regola anche per il personale: non voltare mai le spalle ai pazienti.

"Sento l'odio, non avvicinatevi". Su una sedia un uomo con indosso i pantaloni della tuta e un paio di babbucce fissa il televisore con lo sguardo gelido e le orecchie imbottite di cotone. Un infermiere gli chiede gentilmente di toglierlo. Lui obbedisce ma lo avverte: "Sento l'odio, non avvicinarti". Quell'uomo aveva un lavoro, una famiglia. Un giorno ha idstrutto la faccia di uno dei medici del reparto. Di quell'episodio ha un vago ricordo: "Ci siamo presi per i capelli, io e il dottore".

Sognando Roland-Garros

A poca distanza, seduto a un tavolo, c'è un tipo robusto, con la schiena curva, intento a fare a pazzi un foglio di carta. Sui frammenti minuscoli ricopia, con una calligrafia fitta fitta, alcuni versetti biblici, salmodiando in una lingua che conosce solo lui.

(... ricopia versetti biblici, salmomiando in una lingua che solo lui conosce. E' convinto di essere "incinta" ogni tanto l'uomo reclama una ostetrica.... vedi immagine a fianco)

Se qualcuno gli rivolge la parola lui risponde educatamente: "Si, grazie". E' convinto di essere "incinta". Ogni tanto reclama un'ostetrica. E' meglio non contrariarlo.

Entra in scena "Jimi Hendix". "Lo sapete come mi chiamo? Disgiuntore. Perchè io mi disgiungo, non connetto!". Scoppia a ridere, spostando continuamente il peso da un piede all'altro.

Il suo chiodo fisso è lo sport. Ha giocato nella Coupe de France. E se la cava bene con ping-pong, nuoto e sci. Infatti propone a Manu, un infermiere con il fisico del giocatore di rugby, una partita a calcetto. Giiusto per valutare "la sua velocità di reazione", dice, in vista del "Roland Garros". "Non capisco cosa c'entri il calcetto, signor B.", gli fa presenta Manu, con la massima calma. "Si vede che non mi ha mai visto giocare a tennis". "Ma che rapporto c'è fra i due sport?!?". Per tutta risposta Jimi piega le gambe, lancia un'occhiata di fuoco all'infermiere e accenna un rovescio prodigioso.

Molti farmaci e qualche elettroshock

Si intromette il paziente di prima. "Vorrei prendere il treno. Devo partorire." . "Mi dispiace molto signore, temo non sia possibile". Ecco un altro malato di corporatura più esile. "Lei parla il vietnamita?" Non è di qui, viene da un Paese di lingua spagnola. E' qui per omicidio e passa la maggior parte del tempo a maltrattare gli alberi. O grida, con le mani sulla testa. Perso nel suo sorriso ha disegnato una forma primitiva su un pezzetto di carta. Era una donna.

Qui al reparto 38 di donne ce n'è una sola (negli altri reparti le équipe sono miste). E' la dottoressa Magali Bodon-Bruzel: un tornado biondo sempre allegro. "Quando un paziente mi confessa di aver amato così tanto sua madre da ucciderla io cerco di capirlo. Il prisma della psicosi che distorce la realtà, ci rimanda inevitabilmente a questioni radicami, complesse, che vanno oltre la classica dicotomia bene-male".

La malattia mentale non può mai giustificare il gesto. Ma Bodon-Bruzel si sforza di comprenderlo, "di aprire una porta verso qualcuno che soffre e per conseguenza fa soffrire". E di astrarsi dall'orrore. "Al di là di tutto, il mio è il lavoro di un medico che si serve di strumenti terapeutici per curare malattie. Insieme a una équipe".

All'Umd l'uso dei farmaci richiede grande perizia. Le dosi somministrate superano allegramente quelle consigliate perchè, dicono gli operatori, la maggior parte di questi pazienti è resistente ai  prodotti. Così la psichiatra associa molecole, si destreggia con cocktail di calmanti e neuroletttici classici...

"All'Umd prestiamo la massima attenzione ai rischi legati ai dosaggi e agli effetti collaterali". Un medico generico è di ulteriore garanzia. Altra precauzione: quattro somministrazioni giornaliere, al posto dells olite tre. Si fa qualche elettroshock, ovviamente sotto anestesia,  nei casi di catatonia o di profonda malinconia, o quando tutto il resto  non funziona.

C'è anche l'isolamento in camera, sempre dietro prescrizione medica. Fino al rimedio estremo: la camicia di forza. Un pigiama allacciato sulla schiena, che poi viene fissato al letto. "Passiamo per seviziatori mentre non ci piace usare la camicia di forza", spiega Bob un infermiere. "E' un sistema durissimo, sia psicologicamente sia fisicamente; non bisogna fare male al paziente. E poi richiede una sorveglianza molto attenta: occorre passare ogni ora,  per verificare la tensione dei legacci, dare da bere al malato...".

Perchè non ha chiuso il gas?

 "Qualche giorno fa Pierre, un ragazzo di 20 anni, si è gettato sulla tavola, all'ora di pranzo. Siamo dovuti intervenire in quattro per bloccarlo", spiega ancora Bob. Hanno suonato l'allarme per chiamare i colleghi dagli altri reparti.

"Ma quyando i pazienti saranno 18? Dovremo richiuderli in camera e limitarci a sorvegliarli...".

Ecco Pierre. "Hai l'aria pensierosa", gli dice Philippe, un altro infermiere, in tono dolce. Il ragazzo si allontana. Poi ritorna all'improvviso e piomba su di lui per sferrargli un finto pugno sotto il naso, simile a un battito d'ali.

"Perchè non ha chiuso il gas quello stronzo di mio padre?" urla Pierre. "Parliamone pure, ma non voglio gesti violenti" lo riprende Philippe. PIerre ripensa all'incendio che ha distrutto la sua casa e ucciso i suoi genitori. Lui aveva solo quattro anni. Il seguito è un'interminabile serie di crisi e sfoghi di violenza. Ha già trasformato in una montagna di cocci di vetro quattro oblò che avrebbero dovuto essere infrangibili.

Lo sentivo che ogggi qualcosa non andava", ha spiegato più tardi Philippe, "abbiamo cercato di calmarlo per tutto il pomeriggio ma non ci siamo riusciti".

Il personale segue rigide regole di sicurezza. Ma non ci sono difese sufficienti contro l'imprevisto e la paura, quando qualcuno si getta contro le pareti, ti salta addoso credendosi una pantera o si uccide.

 

Capire dai dettagli

Loro, gli infermieri, se ne acccorgono, quando le cose non vanno. In queste giornate apparentemente normali, che scorrono una dopo l'altra, i segnali vanno ricercati nei dettagli più insignificanti: il modo di dire "buongiorno", uno sguardo più duro del solito, il respiro affannoso... L'atteggiamento stizzito o taciturno dei malati non può ingannare.

Il personale dell'Umd segue regole ben precise, per difendersi: mostrare una coesione assoluta, fare blocco con gli altri infermieri, per evitare che i pazienti possano approfittare di un attimo di debolezza; occuparsi allo stesso modo di tutti, perché nessuno si senta perseguitato; mantenere rigorosamente certi orari, il che rassicura lo psicotico frammentato, senza limiti. Ma non ci sono difese sufficienti contro gli imprevisti, la paura e le botte, quando il pazzo fuori di sè "si lascia andare" e si getta contro le pareti o si apre il cranio picchiandolo contro il calorifero per sfogare la rabbia e la voglia di farla finita o salta addoso a un infermiere perchè si crede una pantera o affonda i denti nella sua carne. O quando si impicca alle lenzuola, di notte, tra una ronda e l'altra.

E' accaduto un anno fa, a un adolescente che avveva violentato la madre. "Più l'atto è grave e maggiore è il rischio di suicidio quando il paziente si rende conto di quello che ha fatto" spiega Bodon-Bruzel.

Per domani è previsto un nuovo arrivo. La tensione è palpabile. Tre giorni fa è entrato - o meglio tornato - un rapinatore: ormai abbonato alle evasioni e condannato fino al 2016 è stato diagnosticato come "simulatore". "Forse dovremo rivedere i nostri incartamenti", ammette tranquillamente Christian Kottlere, rileggendo per l'ennesima volta la scheda del paziente. CI vuole ben altro per impressionare il primario. In questi nove anni gli è capitato una sola votla: una donna aveva fatto a pezzi il suo giovane amante  con un coltello da macellaio e poi si era addormentata stringendo la mano dell'uomo sul seno. "Un caso molto interessante" dice Kottler. Tutto è relativo.

Arriva un Sos da un collega: un paziente, che comunica con il figlio solo via radio ha tentato di rapirlo dalla colonia estiva, brandendo un'ascia. "Hanno tutti paura di lui e sono tre mesi che lo tengono in isolamento. E' una cosa inumana". Commenta Kottler: "Riceviamo sempre più richieste, soprattutto per casi di aggressone a  medici e infermieri. Aver umanizzato la psichatria è stato un bene. Ma cosa è stato dei grandi malati mentali?". E si avvia in aiuto del suo collega.

 

Cuori, libri rilegati, animali feroci

E' calata la  notte. Una sagoma esce dall'ambulanza, strettamente legata alla barella. Quattro infermieri slegano il paziente, lo conducono nella cella di isolamento e si dispongono attorno a lui. Primo faccia a faccia. Sul  letto, un volto che sembra quello di Gesù Cristo, le braccia a penzoloni.

A due metri di distanza,  il medico cerca di cogliere lo sguardo del paziente. "Buongiorno, signor C. Sono il dottor Kottler, e lei si trova in un ospedale. Che disturbi ha?".

La voce del paziente risuona pastosa, probabilmente per effetto dei sedativi. "Non sono pazzo. Voglio soltanto rivedere mio figlio. Mia moglie l'ha preso in ostaggio perchè vuole che mi uccidano". "Ho capito", risponde Kottler. "Mi parli un pò dei suoi figli". Il paziente ha l'aria sorpresa. Estrae la fotografia di un ragazzino. Inizia un dialogo improbabile, con l'uno che tenta di entrare nel delirio dell'altro.

Compilando le cartelle cliniche, il caposala spiega: "Ogni medico ha le sue tecniche. Ma alcune tappe sono fisse: si diventa il padre del paziente, il confidente... La cosa fondamentale è aiutarlo a ritrovarsi, evitando di perderlo. Non deve sentirsi 'oggettivato' ma riconosciuto come persona. Perché fra non molto potrebbe tornare a lavorare, maneggiare forbici...". Per esempio nel laboratorio dell'ospedale.

Fabrice ha fatto una scultura a forma di cuore, da mandare a sua madre. Sorride.

Il lavoro artistico mostra se il paziente è in grado di rimettere insieme idee andate in frantumi. Uno psicotico ha espresso la sua angoscia in un autoritratto: una bocca spalancata.

Sembra un ragazzo come tanti altri, gentile, affettuoso, mentre lavora. Nel laboratorio vengono accolti i pazienti ormai stabilizzati dei reparti 35, 36 e 37. Stabilizzati al punto da poter usare, appunto, un paio di forbici. Uno sta cesellando una bestia feroce, doo aver dipinto un Prometeo.

L'altro si dedica alla rilegatura. Véronique, l'ergoterapeuta, passa a dare un'occhiata "Non mi interessa tanto scavare nel loro delirio, quanto rendermi conto se, nonostante tutto, sono ancora in grado di rimettere insieme idee andate in frantumi. Spesso appena arrivati tendono a svalorizzarsi, a sminuirsi. "Ho fatto solo cose orribili" mi ha confessato Fabrice. Adesso, come gli altri, ha fatto passi da gigante". Uno psicotico ha espresso l'angoscia modellando un autoritratto che si riduceva a una bocca spalancata. Una infanticida ha disegnato una casa, paradiso perduto.

Attenti alle "altruiste"

 Una categoria particolare, che turba gran parte del personale medico e paramedico è proprio quella delle donne infanticide. La maggioranza viene ritenuta responsabile delle proprie azioni, eppure finisce all'Umd. "Il delitto è compiuto spesso sotto l'effetto di gravi forme di schizofrenia o depressione", spiega a dottoressa Sophie Christophe. "Molte donne affette da malinconia, le cosiddette 'fusionali' sono convinte di essere pessime madri, incapaci di dare amore, e ritengono che l'unica via d'uscita sia liberare il bambino dalla sofferenza, per poi uccidersi a propria volta. Li chiamiamo "suicidi altruisti". Il nostro lavoro consiste nel convincere le pazienti ad ammettere le proprie azioni e la propria colpa".

"Una volta era un reparto di massima sicurezza, questo", sorride Bernard, un infermiere. "I pazienti restavano 15, 20 anni". Erano altri tempi. Questi  pensionati della follia ammuffivano al riparo dal tempo e dall'oblio. Prima l'Umd acccoglieva perlopiù psicopatici e caratteriali gravi, che adesso vengono spediti in prigione, e pochissimo psicotici, che invece rappresentano oggi la grande maggioranza. "Gli altri reparti non riescono più a tenere questi pazienti sotto controllo così finiscono da noi" spiega Bernard con un sospiro. "L'Umd rappresenta un po' il fallimento della psichiatria".

Malattia mentale significa ancora vergogna e paura. Spiega Roxane Serviére, psicologa, che organizza gruppi di ascolto per le famiglie dei pazienti: "nessuna classe socialepuò dirsi immune anche se qui ci sono molti figli dell'immigrazione. Cedrchiamo di asostenere soprattutto le madri, spesso sconvolte". Non osano confessare di avere un figlio all'Umd, si sentono stigmatizzate. E soprattutto hanno paura. Paura di quando il parente uscirà.

E' duro il momento dell'uscita. Di fatto si tratta di un ritrasferimento n elal struttura di origine, obbigata a riaccogliere il paziente o detenuto. La decisione viene presentata al prefetto, non dai medici curanti ma da un organismo indipendente composto da psichiatri: si chiama Commissione du suivi médical ("Commissione di follow-up medico"), è stata creata nel 1986 e si riunisce una volta al mese per esaminare i pazienti. Dice Jean-Claude Candé, presidente della commissione: "I nostri criteri? Anzitutto analizziamo una serie di sintomi: violenza, agitazione, rifiuto delle cure e così via. Certo a volte la decisione ci pone problemi di ordine morale, in caso il paziente abbia commesso atti molto gravi.

Non sarebbe il caso, come accade in Canada, di vincolare l'uscita a un programma obbligatorio di cure?

Cita un uomo colpevole di quattro omicidi uscito da alcuni anni. "Non sappiamo neppure se viene tenuto ancora sotto controllo".

 

Forte e debole scienza

L'avvicendarsi dei pazienti (ogni anno dall'Umd ne passa più di un centinaio) assegna una responsabilità pesante alla Commissione. Candé scuote la testa: "C'é chi esce mediamente stabilizzato e altri che ritornano qui. Quanti? Non esistono statistiche. Ma le ricadute criminali sono molto rare. In nove anni ho visto solo una recidività omicida".

Molti si augurano che, alle Umd possano presto crescere i letti. Christian Kottler si inalbera: "Bisogna invece aumentare il personale perchè lavoriamo al limite. Fra esclusione dei malati e assistenza, la società ha sempre sofferto di una sorta di duplicità. Moltiplicare le Umd sarebbe come tornare indietro nel tempo, cautelare il sistema dalle sue peccche".

Perché l'Unità per i malati difficili, con il personale blindato e di umore nero è il segno più eclatante della debolezza della psichiatria e della sua forza: non si possono guarire i più pazzi fra i pazzi, ma ci saranno sempre persone pronte ad accompagnarli.

 © Copyright L'Express/Volpe - Fotografie dell'ag. Editing/Grazia Neri