Denuncia di abbandono di paziente psichiatrico dalle istituzioni deputate alla cura

|   Diapsi Piemonte

La  testimonianza che presentiamo non è un caso isolato, ma rappresenta una realtà diffusa e spesso silente: quella delle famiglie che subiscono l’inefficacia di un sistema sanitario e sociale destinato a prendersi cura dei più fragili: i malati mentali

La richiesta  non nasce da un impulso disperato, ma da un profondo senso di solitudine e dalla responsabilità verso chi ogni giorno si trova ad affrontare una battaglia contro l’abbandono e l’isolamento. È un invito urgente alle istituzioni sanitarie e agli operatori del sociale a ripensare il percorso di cura, perché il diritto alla salute mentale non debba mai decadere perché la difficoltà del malato di essere cosciente della sua malattia e il passare degli anni senza cure, porteranno immancabilmente alla cronicizzazione. Il raggiungimento della maggiore età impedisce alla famiglia, per legge, di obbligare il proprio congiunto a proseguire nelle cure, lasciando così la famiglia impotente e senza armi per aiutarlo.

 Deve stimolarci a chiedere interventi concreti e a ricordare a tutti noi che dietro le statistiche e le procedure burocratiche esistono vite umane in pericolo. È il momento di trasformare le belle parole in azioni, affinché nessuno debba sentirsi abbandonato nel proprio dolore.

La testimonianza di una mamma che è simile a tanti altri casi di abbandono:

"Mi rivolgo a chi si occupa di salute mentale per segnalare una situazione divenuta ingestibile, che coinvolge un ragazzo di 19 anni e l’intera famiglia, compresi gli anziani nonni. Si tratta di una persona con una storia psichiatrica pregressa, con manifestazioni comportamentali gravi e ricorrenti. Negli ultimi mesi si è manifestato uno stato di scompenso evidente, con forti difficoltà nella gestione degli impulsi, comportamenti aggressivi quotidiani e un progressivo rifiuto di ogni forma di contatto, relazione e supporto. Il problema non riguarda solo lui. La famiglia si trova in una condizione di estrema fatica emotiva e fisica, isolamento e totale assenza di strumenti adeguati per fronteggiare la situazione. È noto che, una volta compiuti i 18 anni, il consenso informato diventa un elemento centrale nel percorso di cura. Tuttavia, ci si chiede: è accettabile che un giovane adulto con un evidente stato di sofferenza psichica venga abbandonato a sé stesso? E con lui anche chi quotidianamente cerca di prendersene cura? Il diritto alla salute mentale non può decadere con la maggiore età. Chi rifiuta la cura spesso lo fa perché ha perso fiducia in un sistema che non lo ha accompagnato con efficacia. Può un giovane essere fuori da ogni percorso scolastico, lavorativo e di cura? Può un giovane sparire ed essere abbandonato al suo dolore? La fragilità poetica narrata in certe serie TV, è solo una versione riarrangiata di una verità ben più terribile, forse inenarrabile. Vi chiedo di intervenire. Di prendere in carico la situazione con la necessaria attenzione e professionalità. Di valutare percorsi alternativi, domiciliari, relazionali—qualunque cosa che non sia il silenzio e l’abbandono. Non sto scrivendo per disperazione. Sto scrivendo per responsabilità. E perché credo ancora che la cura sia possibile, anche quando non è semplice. Attendo un segnale concreto. Voglio inserire questa testimonianza sul sito www.sospsiche.it commentandola come caso concreto di tanti altri casi non conosciuti per chiedere alle istituzioni preposte un intervento a favore dei malati mentali e delle loro famiglie. Attualmente ci sono troppo spesso belle parole, ma pochi risultati. "

Il team di Sospsiche