Uno dei principali aspetti positivi risiede nella capacità dell’AI di centralizzare e analizzare in tempo reale una grande mole di dati clinici. Le “cartelle cliniche intelligenti” permettono a team multidisciplinari di condividere informazioni aggiornate, monitorando costantemente l’andamento terapeutico e individuando precocemente segnali di rischio, come un possibile calo di engagement o il rischio di abbandono del percorso. In questo modo, l’AI si configura come uno strumento di supporto decisivo, in grado di fornire ai clinici “insight” utili per personalizzare il trattamento e intervenire tempestivamente.
L’esperienza di Lilac dimostra come l’uso strategico dei social e di piattaforme digitali abbia favorito la creazione di una community molto ampia, con decine di migliaia di follower.
Inoltre, l’integrazione di un assistente digitale – l’“AI Buddy” – aiuta i terapeuti a monitorare i progressi dei pazienti, evidenziando eventuali criticità prima che possano compromettere l’esito terapeutico. Tale approccio, basato su studi scientifici, ha il potenziale di ridurre i tassi di drop-out e di incrementare l’efficacia complessiva del trattamento, offrendo una terapia più dinamica e adattabile alle esigenze individuali.
Nonostante le evidenti potenzialità, l’impiego dell’intelligenza artificiale nel campo dei disturbi alimentari solleva questioni importanti. Una delle critiche principali riguarda il rischio di deumanizzazione del rapporto terapeutico. Pur essendo in grado di offrire dati oggettivi e analisi dettagliate, l’AI non può sostituire l’empatia e la sensibilità che solo un operatore umano può garantire. La relazione terapeutica, infatti, è basata su un ascolto attento e sulla capacità di cogliere sfumature emotive che spesso sfuggono agli algoritmi.
Altro punto critico concerne la gestione dei dati sensibili. Nel trattamento di patologie complesse e fortemente personali, la sicurezza e la privacy dei dati raccolti devono essere tutelate con rigorosi protocolli. Il rischio di violazioni o di utilizzi impropri rappresenta una sfida non indifferente, in quanto la fiducia dei pazienti è fondamentale per il successo del percorso terapeutico.
Un ulteriore aspetto da considerare è il potenziale bias algoritmico. Gli algoritmi, infatti, possono essere influenzati da dati di partenza che non riflettono adeguatamente la varietà delle esperienze cliniche, portando a interpretazioni distorte o a raccomandazioni standardizzate che non tengono conto delle peculiarità individuali. Tale problematica evidenzia l’importanza di una costante revisione e aggiornamento dei sistemi, per garantire che la tecnologia rimanga uno strumento di supporto, piuttosto che un sostituto del giudizio clinico.
Infine, l’adozione di sistemi AI richiede una significativa trasformazione culturale e formativa per i professionisti. Il passaggio a modelli di cura che integrino strumenti digitali implica la necessità di aggiornamenti continui e di un cambio di mentalità, che potrebbe rappresentare una barriera per alcune realtà meno predisposte all’innovazione.
Solo un equilibrio attento tra innovazione tecnologica e approccio umano potrà garantire che l’AI diventi un alleato efficace nella lotta contro i disturbi alimentari, migliorando la qualità delle cure e ampliando l’accesso a trattamenti specialistici.
Il team sospsiche