Eravamo una famiglia felice, unita, così' iniziano tutte le narrazioni e anche questa. Padre, madre e due fratelli che andavano d'accordo.
Ricordo l'estate del 1978 qui in Friuli Venezia Giulia: il clima era tiepido, accendemmo la TV e vedemmo delle immagini sfocate, in bianco e nero, ancor oggi riproposte: i malati mentali abbattevano le recinzioni e uscivano dal manicomio.
La cosa ci lasciò un po' perplessi. Io fissavo lo schermo tra il curioso e lo stupito. Mia madre accennò “e ora, che succede? Dove vanno questi?”. E tutto finì li.
Dopo un paio d'anni io partii per il servizio di leva. Al mio ritorno nemmeno un mese dopo, 1982, mio fratello L. partì per il servizio militare, controvoglia. Dopo un anno tornò e non era lo stesso di prima. Ridacchiava da solo, si metteva sugli attenti davanti allo specchio; la risata non era di chi si diverte “come un matto” è sarcastica, indefinibile. Così la cosa è andata avanti per giorni e giorni.
Al tempo (1982) era quasi un tabù parlare di malattia mentale e impossibile far causa all'esercito per ottenere un risarcimento. Sembrava che Basaglia avesse sconfitto totalmente la follia; non esisteva ed era il prodotto di una famiglia disfunzionale, sempre, escludendo tutte le cause biologiche o di altro genere. Non c'era internet, non c'erano inforamazioni certe.
Ricordo che quando si parlava di qualche problema mentale tutto veniva ridotto a “sarà una cosa momentanea, passerà … un po' di aria e qualche giorno di ferie o riposo e si rimetterà .. cambiare aria gli farà bene”. Noi non sapevamo nulla delle malattie mentali.
Sospettavo qualcosa. Dovete sapere che la schizofrenia, soprattutto agli esordi, è una malattia subdola, traditrice. Si presenta con qualche sintomo che poi va via. Poi si ripresenta ciclicamente, la bastarda, più forte di prima.
Dopo un po' L. non era più sull'attenti anche se presentava vari comportamenti disfunzionali, un carattere chiuso, gesti stereotipati. Pensavamo stesse migliorando..
Nessuno vorrebbe affrontare l'onta della vergona di essere la causa della malattia (teoria di Basaglia) né vorrebbe riconoscere la sua esistenza, se non dopo aver affrontato ripetuti e drammatici eventi..
Mi impegnai a capirne di più; scoprii che il Centro di Salute Mentale (ripeto: siamo in Friuli Venezia Giulia!) si trovava proprio sotto casa. Stabilii un contatto con il medico. Breve colloquio, spiegai tutti i sintomi e siccome (1984) mi dovevo sposare e spostarmi in un'altra città mi disse “si capisce che suo fratello soffre della sua lontananza e di non averla più in famiglia”.
Capirai che diagnosi e cura!
Di lì a qualche mese gli trovammo un lavoro. Si diceva che la terapia del lavoro fa bene, pertanto andò a lavorare presso una officina. Iniziò il calvario del cambio del posto di lavoro: non ce la faceva a reggere un minimo stress.
Fece ritorno a casa, trascorrendo gran parte della giornata sul letto, a dondolarsi, a ripetere frasi incomprensibili. La schizofrenia si alternò in cicli di problematiche ricadute e apparenti remissioni; sono proprio queste a ingannare i famigliari.
Un po' di tempo dopo il medico prescrisse un neurolettico, ma L. non lo voleva assumere. Per curarlo dovevamo mettergli le gocce nella minestra o bevande a sua insaputa, altrimenti finiva in preda alle peggiori allucinazioni. Lui al Centro non ci andava; nessun operatore si presentava a domicilio, nonostate una legge regionale del 1980 che lo prevedeva.
Iniziai a cercare informazioni; sfogliando una enciclopedia sospettai si trattasse di Schizofrenia. Ne parlai con mia madre e mio padre, cono non poche difficoltà. Lui, mio padre, non acccettava tutto questo né il medico psichiatra aveva mosso un dito per spiegare cosa stavamo vivendo, anzi, aveva generato ancora più confusione.
Un giorno durante una discussione accesa con L., mio padre cadde quasi morto sul divano, senza energie;non sapevamo chi chiamare, era in uno stato di esaurimento psicofisico penoso. Il giorno seguente si sentì male e fu ricoverato in ospedale d'urgenza.
Dovetti insistere molto (1986) con i genitori oer far capire loro che L. era malato e che che non si rendeva conto del proprio stato di salute. Serviva una diagnosi di un esperto e non delle fiabe raccontate dal Centro. Il medico non faveva diagnosi perchè una diagnosi è una etichetta, noi non sapevam,o cosa avesse di preciso.
Fissai appuntamento con un medico privato a Udine; con fatica accompagnai mio fratello con la scusa di ottenere un beneficio pensionistico. Lo visitò a lungo e sentenziò che c'era poco da fare, ormai era cronico: “dovrete fare un tira a molla” per tutta la vita,, disse.
E così fu. Perdemmo anni e anni prima di ottenere una diagnosi, tra il disconoscimento dell'esistenza della malattia mentale e “cure” improvvisate.
Non esisteva nessuna struttura oltre all'ambulatorio. Ecco questa è stata la legge 180, fonte di sofferenze e abbandono. Il concetto era che pur di superare i manicomi, giusta e bellissima idea, si lasciano i pazienti sul territorio – poi si vedrà. E' come chiudere una cardiochirurgia che funziona male, senza prevedere le alternative, e lasciare che gli infartuati muoiano a casa loro.
Nel 1990 si tenne un grande convegno internazionale in Friuli, la regione dove si trova il Centro che doveva seguire L. Al convegno “I dieci anni dalla 180”. Parteciparono psichiatri invitati da tutto il mondo a conoscere i miracoli della psichiatria Friulana, qualche familiare e alcune corriere di dipendenti di coolperative per la salute mentale, giusto per far numero.
In una relazione, in risposta alle proteste dei famigliari che non erano felici di tutto questo, ricordo che un esponente mi sembra dell'allora Lotta Continua scrisse cinicamente “ogni rivoluzione vuole i suoi morti”.
Di morti, famiglie distrutte, violenze anche se non omicidi, problemi causati dai malati alle famiglie, ce ne sono stati tanti. Nel silenzio totale quasi fino ad oggi.
Quando capitava qualcosa di grave in una famiglia, tutto terminava in secondo piano, con un articolo nella cronaca nera.
Si diceva: “la causa è della mancanza di finanziamenti e applicazione della legge 180” e non delle teorie antipsichiatriche che stanno alla base della legge 180: libertà di cura, libertà di rifiutare un trattamento, con il risultato di lasciare in giro persone potenzialmente non curate e che non assumono nemmeno gli psicofarmaci. Alla fine dopo anni e diversi trattamenti sanitari obbligatori, L. rifiutò di farsi visitare e il medico psichiatra disse che non si poteva far nulla senza il suo consenso. Morì di cancro qualche mese dopo.
Dal 1990 seguì comunque un periodo di sviluppo del settore psichiatrico, penso proseguito grossomodo fino al 2008, connotato da un miglioramento dei servizi, con più risorse, nuove strutture ma anche di sprechi folli, con un ruolo crescente delle Cooperative, delle quali spesso ne fece parte il medico psichiatra del locale centro – conflitto di interessi ignorato da tutti.
Oggi che le risorse si riducono e la coperta si stringe, a fronte di un aumento esponenziale delle richieste di cura, dovuto al periodo Covid, potremmo dire che siamo tornati al periodo descritto in questa lettera, primi anni post 180.
A farne le spese, oltre alle famiglie e i pazienti, oggi purtroppo si aggiungono gli psichiatri, come accaduto nel caso della dott.sa Barbara Capovani (2023) che lascia ancora costernati e dispiaciuti.
Di recente apprendiamo nuove denunce di altri psichiatri, vittime di aggressioni da parte dei pazienti.
Tutto serve a far capire che questi drammi da anni li hanno vissuti nel silenzio tante famiglie, costrette a convivere con un malato mentale grave, ignorate, incolpate e spesso oggetto di violenze psicologiche se non fisiche. Sia ben chiaro: parlo di famiglie e persone affette da disturbi gravi e non di coloro che hanno ricevuto benefici più che positivi e sono seguiti correttamente e con successo per disturbi più lievi, in ambito pubblico e privato.
Chissà se cambierà qualcosa attraverso un nuovo modo di fare, terapie e provvedimenti legislativi, più risorse.
Per quel che riguarda il periodo attuale, si festeggia qua e la' la legge 180 e i cento anni della scomparsa di Franco Basaglia. Le forze politiche che ineggiano alla legge 180 non vogliono fare i conti con una necessaria revisione storica. In tanti preferiscono montare sul carro del vincitore, osannare, ricordare, ineggiare, più per opportunismo politico che per mera conoscenza della realtà.
Nessuno vuole ricordare le vittime del periodo immediato post-180, familiari, pazienti e anche gente comune. Quando sarà istituita una giornata alla loro memoria?
Ecco perchè il 13 maggio, per molti familiari, è una giornata di lutto,ricordo di tragedie negate e drammi inascoltati.
alla memoria di L. scomparso 10 anni fa, e alle famiglie e pazienti che hanno sofferto come lui