Legge 180: domande e risposte

Questa pagina è stata pubblicata a cura della Redazione; raccoglie una serie di domande e risposte sulla legge 180 che abbiamo posto nel corso degli ultimi anni  a familiari e esponenti di varie associazioni.

 

 

La legge 180 ha previsto il set di strutture necessarie per i pazienti?

A detta degli stessi sostenitori la legge n. 833/78 di riforma sanitaria, in cui è confluita la legge 180, è una legge quadro costituita da norme generali che, per essere messe in pratica necessitano di dispositivi attuativi quali regolamenti, piani, progetti. Quindi la legge 180 fin dall'inizio non ha delineato chiaramenti quali debbano essere le tipologie di strutture per la cura dei malati di mente.

 

A chi è stata demandata la predisposizione di progetti e regolamenti dal 1978 in poi?

L'attuazione di tali progetti è stata affidata per legge direttamente alle Regioni che  hanno provveduto (e in molti casi nemmeno provveduto a farlo) in modo variegato e spesso contraddittorio, attivando servizi molto diversificati che hanno dato risposte insufficienti.

 

Quindi si può affermare che la legge 180 non è stata applicata.... 

Non è sbagliato dire che la legge 180 non è stata applicata, ma non bisogna pensare solo a questo aspetto. Una delle grosse lacune della legge 180 consiste nel fatto che non ha previsto assolutamente la tipologia di strutture da attivare e le modalità di cura e trattamento del paziente, se non per il trattamento sanitario obbligatorio.

 

Quali sono state le conseguenze di queste lacune?

Per un periodo di lunghi 16 anni pazienti e famiglie hanno vissuto in condizioni di vera emergenza, pericolo, incertezza e sofferto enormemente a causa della mancanza di risposte adeguate, alla diagnosi e via così; in pratica hanno vissuto la quotidiana  negazione dei loro diritti fondamentali di cittadini.

 

Sì ma nel 1994 il Parlamento ha adottato  un piano nazionale...

Lo ricordiamo e ripetiamo il primo progetto-obiettivo è stato approvato solo dopo un periodo buio e nero di ben 16 anni, nel quale gli stessi promotori della legge 180 -- pur conoscendo per bene i drammi e tragedie delle famiglie -- non hanno mosso un dito per pretendere le risposte adeguate, con la stessa fermezza con la quale hanno chiesto la chiusura del manicomio.

 

Cosa è accaduto in questo periodo buio della psichiatria?

Si può dire di tutto: pazienti che si sono aggravati nel territorio sono stati scaricati letteralmente in famiglia; famigliari che hanno subito le intemperanze e violenze da parte del malato (ndr.: ricordiamo perchè non curato), in nome della libertà terapeutica di curarsi o meno  ineggiata dagli psichiatri allievi di Basaglia.

Non si devono dimenticare le sofferenze delle famiglie e dei pazienti, che non hanno ricevuto alcun tipo di cura se non l'impedimento a nuovi ricoveri.

 

Era prevedibile tutto questo e cosa si sarebbe potuto fare?

Lei cambierebbe abitazione senza sapere dove andare? Questo è il problema inodotto dalla legge 180; la legge si è preoccupata di dare pieni diritti a tutti i pazienti, senza definire ed avviare le strutture e responsabilità degli operatori. Alcuni dei teorizzatori del nuovo corso psichiatrico affermarono cinicamente "ogni rivoluzione vuole i suoi morti" sulla scia di una ideologia di estrema sinistra che non teneva minimamente conto del destino dei pazienti e delle famiglie.

 

Cosa intende per responsabilità degli operatori?

Ci sono diversi esempi di pazienti che hanno chiesto di farsi ricoverare e poi hanno commesso delitti, altre di famiglie che  hanno supplicato i medici del Centro di ricoverare il congiunto per poi trovarsi pestati o uccisi. In questi particolari casi dov'erano i medici? Perchè hanno rifiutato il ricovero?

La legge precedente prevedeva particolari sanzioni per il medico che non custodiva il paziente; non vogliamo arrivare a questo estremo, ma la legge 180 non prevede nulla in questo senso; demandando le cure al consenso del malato non si occupa delle conseguenze ed esautora il medico da qualsiasi responsabilità in merito.

 

Questo e altri aspetti sono stati affrontati dal progetto obiettivo del 1994, vero o no?

Il progetto-obiettivo per la tutela della salute menttale, poi reiterato nel 1998-2000 è sicuramente un passo in avanti ma ricordiamolo  definisce solamente le strutture, personale e finanziamenti. Nello stesso periodo è stato fissato  un nuovo termine per la chiusura definitiva di tutti gli Ospedali psichiatrici nella data del 31 dicembre 1996, come indicato all’interno della legge 724, che accompagnava la legge finanziaria 1995.

 

All'estero che leggi ci sono?

Le più svariate. Prendiamo la legislazione anglosassone, approvata in quei paesi che hanno dato origine all'antipsichiatria, per capire che lì non sono stati fatti gli errori della legge 180; la stagione del rinnovo dei servizi, integrazione del malato e reinserimento nel territorio è stata vissuta e viene vissuta con maggiore ragionevolezza e prudenza. Esistono delle normative molto dettagliate (act) che vengono riconsiderate nel tempo ed ogni 4 anni circa, che prevedono chiaramente i doveri degli operatori (code of practice) e tutti gli aspetti di cura, ricovero e standards per il trattamento delle malattie mentali. 

 

Quanti erano a metà degli anni '90 i ricoverati negli Ospedali Psichiatrici?

Si stimano circa 20.000 persone; se non sono state dimesse prima significa che queste erano  non dimissibili o non facili da dimettere e/o spostare nel territorio.

 

Cosa dicevano nel 1994 e successivamente i fautori della chiusura dei manicomi?

Si parlava di "residuo manicomiale" da abbattere e che la dimissione dei pazienti avrebbe comportato un risparmio dei costi giudicati eccessivi, destinati agli ospedali, che sarebbe stato destinato ai pazienti del territorio con la promessa di attivare nuove strutture e in alcune realtà anche la soluzione ai problemi del territorio.

 

Questo poi è avvenuto?

In parte si e in parte no, perchè gli interessi delle cooperative e agenzie per la salute mentale sono tanti ed il denaro viene usato male; in tanti casi è volalitizzato in una nube di iniziative costose che spesso i familiari (e le loro associazioni) dovrebbero controllare meglio, invece di limitarsi solamente a sostenerle.

 

Dove sono finiti i pazienti dimessi? C'è stato  un vero risparmio per la collettività?

In famiglia e tanti negli ospizi; tant'è che in quest'ultimo caso possiamo affermare che di fatto non c'è stato un risparmio in senso stretto. I costi si sono ridotti per le USL, sono aumentati per i Comuni e le famiglie.

 

Sì. ma i pazienti mentali hanno ricevuto con la legge 180 attenzione ai loro bisogni e nuovi diritti...

Questo è fuori da ogni dubbio, ma ci sono tantissime testimonianze da parte di familiari che hanno subìto aggressioni e vissuto una vita tragica e travagliata. Immaginiamo di vivere con un paziente che non rispetta orari, che scambia il giorno con la notte, che non si cura, che toglie la tranquillità alla famiglia e grida tutto il giorno in preda a disturbi allucinatori. Bisogna vedere dove finiscono i diritti del paziente e dove iniziano i diritti dei familiari...

 

Ma i pazienti non hanno diritto a scegliere il tipo di cura e medico? Lo dicono gli stessi allievi di Basaglia...

In realtà  il problema del disturbo  mentale è affrontabile in maniere diverse: psicoterapie, farmacologia, riabilitazione e spesso con la combinazione di tutte queste forme. Nei fatti la psicoterapia pubblica non esiste, dove sono arrivati i basagliani addirittura è stata abolita. Come fa il paziente a scegliere un medico se questo non segue un certo modello? Il Centro dovrebbe poter offrire modelli diversificati, non pensa?

 

Tutti i pazienti hanno acquisito i medesimi diritti, che ne pensate?

Che sia giusto restituire i diritti alle persone affette da disturbo, considerandoli cittadini come gli altri. Però è altrettanto giusto considerare e capire che ci sono persone che peggiorano; nel caso della sola schizofrenia solo il 25% può gurarire. La cronicità è alta e la legge 180 non considera le differenze tra le persone meno gravi e più gravi, concedendo di fatto a queste ultime il diritto di curarsi o meno quando non hanno coscienza di essere ammalate.

 

Quali diritti hanno le famiglie?

Nessuno ancor oggi. L'argomento sembra tabù; a nostro avviso le famiglie avrebbero diritto alla sicurezza, alla tranquillità, all'espressione delle proprie libertà personali e soprattutto al diritto di vedere il loro paziente curato nel vero senso della parola.

 

Sono sorte tante associazioni di familiari dopo la promulgazione della nuova legge. Perchè?

In parte per difenderla in parte per chiedere le modifiche o riformarla. Le Associazioni che difendono la legge 180 spesso affidano completamente le loro rivendicazioni al medico che supportano, mostrando il volto esclusivamente nel momento del bisogno, ad esempio per sostenere improbabili piani riabilitativi senza nemmeno conoscere i punti critici che fin qui abbiamo elencato. Praticamente ritengono che tutti i mali siano da attribuire esclusivamente alla mancata applicazione della legge, la quale non ha mai previsto (ne mai prevederà, se non modificata) standards di cura, obblighi e doveri, finanziamenti sicuri.

 

Sospsiche.it racconta di "drammi familiari", non è forse questa una esagerazione emotiva?

Per lungo tempo si è detto questo; le teorie antipsichiatriche che hanno ispirato il nuovo corso italiano dicevano chiaramente che il sistema famigliare è ammalato. Di conseguenza anche i familiari non erano attendibili nè dovevano interferire nel criticare le azioni del medico. Insomma il parere dei familiari è inquinato e malato, non attendibile; ecco che loro perdono ancor di più i diritti che invece ha  il malato ha acquisito con la legge 180.

 

Ma oggi dove è stata attuata vla legge 180 le cure avvengono, eccome!

Ci sono delle realtà molto diversificate. Ci sono giunte testimonanze e non poche che dal Friuli, patria di Basaglia dove i Dipartimenti sono diretti dagli allievi dello stesso, le cose non vadano poi bene. Perchè si pensa innanzitutto ai diritti del paziente ma non si pensa ad addestrarlo correttamente a vivere nel territorio. Un familiare ci ha riferito che il medico voleva avviare al lavoro un suo parente ammalato quando questo non sapeva farsi neanche il letto e viveva nel sudiciume.

 

Che dire delle professionalità sorte dopo la legge 180?

Questa era una grande promessa insita nello spirito della legge, ma in tanti casi responsabili dei Centri sono gli stessi che protestavano fuori dai cancelli del manicomio: essi stessi sono diventati istituzione. Alcuni familiari hanno denunciato palesi comportamenti deresponsabilizzati ed infine ci è giunta notizia che in molti Centri lavorano persone fuoriuscite da altri reparti ospedalieri, proprio per il fatto che si lavora fino alle 14 o al limite in un turno pomeridiano e non si fanno più le notti in reparto; per la scarsa responsabilità negli interventi e gli orari agevolati i Centri sono diventati un luogo appetibile dove "lavorare".

 

Molti medici difendono la legge 180 e il loro operato, cosa dite in proposito?

Ci sono diverse realtà; in alcune il medico preparato che ha piacere a lavorare ha espresso le proprie potenzialità per raggiungere gli obiettivi, ma in molti altri casi le risposte sono state insufficienti proprio perchè la legge consente di non intervenire se il paziente rifiuta di sottoporsi ai trattamenti. Non è possibile nè giusto però affidare al solo buon senso e volontà di un medico la liceità dei trattamenti, è necessaria una nuova normativa.

 

Ci sono tante realtà che affermano di aver applicato per bene la legge e presentano dati inconfutabili...

Qui si tocca un punto molto dolente, l'autoreferenzialità. In pratica questi servizi si dotano di Centri di Ricerca o progetti che servono ad elaborare i dati prodotti da loro stessi... ci si chiede quanto siano valide queste statistiche di autovalutazione e se non è il caso di creare commissioni che possano effettuare ispezioni a sorpresa in tutta Italia per verificare se quanto affermato è vero...

 

Cosa si dovrebbe fare secondo voi di Sospsiche.it?

Noi respingiamo fermamente la logica manicomialista e riteniamo che la struttura pubblica debba farsi reale carico della persona con la formulazione di un progetto approvato dalla famiglia per il suo recupero. Il recupero non consiste nello scaraventare nel territorio o in una cooperativa una persona disturbata, bensì di accoglierla in strutture dignitose dove insegnarle giorno per giorno a vivere, a badare a se stessa fino ad assumere maggiori responsabilità.

 

Esistono questi piani o progetti all'estero?

Gli psichiatri italiani hanno una mentalità rigida e chiusa, ferma al 1978; in pratica vivono sugli allori della vittoria derivata dalla chiusura del manicomio e pensano di aver riformato l'intera questione psichiatrica a livello mondiale, affermando che il sistema sanitario italiano è il migliore. Negli Usa ad esempio sono stati svilupati programmi di recupero denominati TEP (Temporary Employement Programs) che partono con l'attribuzione delle abilità della vita quotidiana -- dall'insegnare a farsi il letto, alla cura della persona, fino all'assunzione di lavori protetti ed infine veri e propri lavori.

 

Alcuni però sostengono che qui ci sono le cooperative che fanno questo. Quale è la vostra opinione?

I familiari dovrebbero chiedere ai responsabili delle cooperativa quali sono i piani e modelli attuati per la riabilitazione, capita di sentirsi spesso rispondere in modo evasivo oppure che non viene seguito alcun modello preciso. Che risposta è questa? Non ci risulta che in Italia si adotti un modello come il TEP. Ci sono cooperative e cooperative.

 

Si può parlare di nuovo business nel sociale?

Nel mondo cooperativistico si stanno avvviano nuovi business del sociale il paziente spesso viene "tenuto" nel circuito delle cooperative nel preciso interesse di avere un buon "cliente" ad uso e consumo dei vari progetti da attuare. Così ci sono stati malati che hanno seguito numerosi corsi, al computer, di ceramica e via così senza mai trovare una vera e precisa occupazione.
L'altro lato oscuro e negativo di tutto questo è che chi fa il sociale anche male si fa scudo dei pazienti e delle buone intenzioni per giustificare le proprie scelte sbagliate.

 

Tra i fautori della legge c'è chi sostiene che le cooperative hanno ridato dignità ai pazienti.

La situazione non è uguale in tutta Italia ad ogni modo noi familiari non abbiano notato miglioramenti e benefici economici di grande entità. GLi psichiatri ci ricordano che nel manicomio i pazienti venivano sfruttati ed usati, malpagati. Ci sono tante cooperative che si fanno addirittura pagare dai genitori pur di tenere il loro figliolo occupato, oppure non pagano i pazienti o meglio si attivano prontamente solo in presenza di finanziamenti o progetti. Come li chiama lei queste cose: forse diritti negati?!? Cosa è cambiato dal passato? Lo sa che queste cose avvengono anche in Friuli?

 

Come è possibile superare la logica manicomiale e attivare una vera assistenza sul territorio?

Ancor oggi gli psichiatri allievi di Basaglia sostengono in pratica che qualsiasi soluzione diversa da quella proposta (ndr.: in quello che noi chiamiamo non modello) sia da respingere con l'accusa di manicomialismo. Bisogna prendere coscienza che esistono persone affette da un disturbo che possono godere di tutti  i diritti, incluso di quello fondamentale di accesso alla cura, del quale non se ne parla mai.

 

Come occuparsi delle persone più difficili?

Per le persone maggiormente trattabili l'accettazione nella comunità è ancora difficile ma non impossibile. Va riconosciuto che ci sono anche le  persone destinate a peggiorare e alla cronicità; esistono numerose statistiche mondiali in merito. Questa ultima categoria per quanto venga dichiarata esigua ha diritto alle cure a livello territoriale e può essere tollerata o meglio accettata nella società solo se curata adeguatamente. Non è il caso di parlare di "nascondere la vergogna agli occhi dei cittadini" o di aver paura della malattia mentale, come sostengono alcuni psichiatri bensì di ottenere comportamenti abbastanza normali da parte di queste persone, tali da facilitare il loro reinserimento. Se viceversa vengono inserite a forza nella società si ottiene unicamente l'effetto opposto o meglio il loro rifiuto.

 

Molti familiari affermano che i congiunti si sottraggono alle cure. Che fare?

Questa è una drammatica realtà che vede da una parte i familiari incapaci di fronteggiare situazioni molto difficili fino a perdere la loro tranquillità e serenità e dall'altra parte i Centri farsi alibi e scudo con la legge per non intervenire.

 

Perchè assicurare questi pazienti alle cure?

Non è una questione di limitazione dei diritti, bensì della attuazione di una nuova normativa che preveda chiaramente come e quale sia la presa in carico da parte dei Centri. Pensiamo che se queste persone non vengono assicurate alle cure e peggiorano nel tempo, come è accaduto dal 1978 in poi, si verificano facilmente situazioni di scarsa tolleranza, rigetto o isolamento del soggetto. Le cure verso queste persone non sono ipotizzabili attendendo il loro semplice consenso.

 

Quindi si possono ipotizzare forme coercitive come nella vecchia logica manicomiale, magari con l'istituzionalizzazione?

Questo è falso e da respingere. Pensiamo invece che con opportune misure il paziente si possa seguire nel territorio. Bisogna andare oltre il trattamento obbligatorio e attivare strumenti, già provati all'estero, ad esempio nei servizi di salute mentale dello Wyoming, denominati ACT (Assertive Community Treatments = trattamenti potenziali in ambito territoriale). Tali trattamenti sono attuati attraverso una serie di obblighi di partecipazione alle attività, sanciti per i malati, come ad esempio recarsi ogni giorno al Centro e seguire i piani per la riabilitazione. Ci teniamo a sottolineare che questi trattamenti dovrebbero essere attivati nei confronti di quelle persone che non offrono il consenso alla cura almeno dopo aver esperito i tentativi dovuti per ottenerlo.

 

La legge 180 ha cancellato definitivamente il concetto di pericolosità sociale associata al malato mentale?

Questo è vero, ma non ha tenuto conto che un paziente lasciato a sè nel territorio diventa invece pericoloso ed aggressivo.

 

Cosa intendete voi di Sospsiche come "pericolosità" o "aggressività"?

Le famiglie sono le prime vittime inascolate di soprusi e violenze da parte del loro congiunto non curato adeguatamente. La legge 180 sancisce che il paziente si sottopone alle cure di sua spontanea volontà e questo avviene molto di rado. Non ha infatti coscienza della propria malattia e sfoga frustrazioni e rabbie sui congiunti più vicini. I quali ad un certo punto non sanno più cosa fare perchè la struttura pubblica non interviene.

 

Cos'è la "pericolosità verso se stessi"?

Questo concetto non esiste proprio in Italia; si tratta di tutte quelle azioni che compie il malato mentale (evitare di sottoporsi a cure fisiche o mentali) tali da esporlo a seri pericoli. Non esistono standard o norme che prevedano questi casi e su come intervenire. 

 

Queste proposte allora vanno contro il concetto dei seguaci di Basaglia: "la libertà è terapia"?

La libertà non è terapia quando una persona non è in grado di pensare a se stessa e quando i diritti dei pazienti si scontrano con quelli dei familiari. Si parla sempre di diritti dei pazienti ma non dei loro doveri. Pensiamo che i pazienti dovrebbero essere sottoposti alle cure nel loro interesse quando non ne abbiano coscienza.

 

I trattamenti potenziati in ambito comunitario cosa risolverebbero?

Potrebbero essere un utilissimo strumento per contenere i pazienti più problematici e dare respiro alle famiglie. Consentirebbero ai pazienti di essere curati e trattati all'inizio della loro malattia prima che peggiorino ed essere affidati in via definitiva a Ospizi, Case di cura, Centri vari. Infine ci sarebbe un sensibile risparmio nei costi sociali; infatti non peggiorando queste persone non graverebbero successivamente sulla collettività con pensioni e benefici vari, così come accade ora.

 

I fautori della legge 180 sarebbero d'accordo con queste proposte?

Pensiamo di no. Ancor oggi si parla di libertà terapeutica ed in secondo luogo non dimentichiamo che in tanti Centri dove si lavora ben poco gli operatori sarebbero costretti a formulare piani riabilitativi, farsi carico del paziente ed assumersi le loro responsabilità, in pratica a lavorare di più, per giunta con soggetti problematici e questo non va loro certamente bene.