SECONDO ANNO

Cara lettrice e caro lettore, l'avventura di Prendiamoci cura dell'umano entra nel suo secondo anno di vita. Un anno è poco, e insieme è tanto: da parte nostra siamo confortati dalla consapevolezza di essere riusciti a sviluppare per ben 21 articoli i temi che ci stanno a cuore e che volevamo offrire alla Vostra riflessione, svolgendo nello stesso tempo una qualche funzione formativa all'interno del gruppo di Cura e Cultura. Come avrete notato, abbiamo infatti affidato lo sviluppo di diversi temi alle psicologhe e agli psicologi giovani del nostro gruppo, offrendo loro una opportunità, riteniamo preziosa, di riflessione e di condivisione. Noi speriamo di aver incontrato il Vostro interesse e la Vostra sensibilità con il nostro modo di prenderci cura dell'umano. Diversi riscontri nel corso dell'anno ci hanno incoraggiato, anche se non nella forma che avevamo immaginato, quella delle lettere al giornale. Forse, ci è stato suggerito, questo dipende dal fatto che la nostra proposta spesso sollecita risposte mol¬to intime nel lettore, risposte che mal si prestano al dibattito sulle pagine del giornale e più si prestano alla confidenza amicale, al dialogo sommesso, al piccolo e commosso accenno telefonico.

Un anno è poco, e insieme è tanto: è poco, è appena un inizio nello sviluppo di un pensiero, o meglio di un modo di pensare l'umano all'insegna di amore e bellezza, che sono i suoi bisogni più essenziali, senza i quali l'umano fatica a distinguersi dal non umano. Ma vogliamo anche che questo modo di pensare si articoli in un pensiero concreto, attento a temi cruciali della nostra vita quotidiana, sempre con l'impegno di illuminarli con l'amore e la bellezza. Rispetto a questo compito un anno è certo ben poco e ci rendiamo conto di essere all'inizio di un cammino lungo e complesso, del quale speriamo di essere all'altezza. E voi, benevoli lettrici e lettori, ci perdonerete per le nostre manchevolezze e apprezzerete, speriamo, il nostro sforzo.

Abbiamo individuato una serie di temi per il prossimo semestre, secondo un modo di procedere analogo a quello adottato nello scorso anno. Nella maggior parte dei casi vi presenteremo questi temi nella forma di coppie di opposti, nel presupposto che, così come la nozione di luce acquista il suo senso più proprio se contrapposta a quella di oscurità, anche ogni altra nozione oggetto della nostra riflessione potrà sviluppare il suo senso se messa in relazione al suo opposto. La nostra natu¬ra umana è intimamente paradossale, quasi contraddittoria, il sì ci è altrettanto indispensabile del no e in noi sono sempre presenti, almeno in qualche misura, entrambi i termini di ogni opposizione.

 

Così se parleremo della nostra libertà, lo faremo partendo dalla coppia libertà-vincolo: la libertà si esercita sempre a partire dalla consapevolezza del vincolo, che per grande che sia non è mai totale, ma ci permette sempre un qualche minimo spazio di libertà, non foss'altro che nel pensiero; e delle scelte nell’esercizio della mia libertà rispondo di fronte a me stesso e agli altri.

Parleremo di noi Persone comuni e dell'invisibilità del nostro operare quotidiano, contrapposta alla visibilità televisiva, ora assurta a valore assoluto che rischia di diventare criterio di esistenza e di valore. Esisti e vali qualcosa se compari in televisione. Ma a noi la gente comune, che non compare in televisione e quindi è invisibile, ha insegnato molto. Era gente comune quella che ci ha aiutato tante volte a restituire senso a quelle vite segnate dalla grande sofferenza mentale, e ci ha mostrato di quali nascoste meraviglie e di quali silenziosi eroismi sia capace, al di fuori del video.

Parleremo dell'utilità, dell'essere utili, importanti, del servire a qualcosa, dell'essere strumenti per... contrapponendola all'inutilità di quelle cose inutili come una rosa, un sorriso, un canto, un carezza che, come ci diceva uno dei nostri amici così segnato dalla grande sofferenza mentale, aiutano così tanto a vivere.

Parleremo di fragilità, della nostra fragilità, che spesso temiamo e fatichiamo a riconoscere come feritoia verso la nostra natura più profonda, e insieme anche come apertura al messaggio del mondo, come condizione del nostro subire, mentre la nostra solidità (si può essere, e si è, a un tempo fragili e solidi) è la condizione per poter inviare messaggi al mondo, è la condizione del nostro fare.

 

Parleremo del silenzio, condizione per l'emergere delle voci interiori che ci dicono chi siamo, contrapposto alle voci e alle parole del mondo che, come dice Thomas Mann, coprono e nascondono con il loro rumore i segreti e i misteri che stanno dietro agli uomini e alle cose.

Parleremo del sacro come di una dimensione essenziale della pienezza del nostro vivere, del sacro come eccedenza di significato, ritagliato e distinto all'interno del profano, la dimensione ordinaria, quotidiana, e altrettanto indispensabile, del nostro vivere. Ricorderemo le parole di Oscar Wilde, dove c'è il dolore c'è il sacro e in questa prospettiva ricorderemo i Campi, come la maggior concen¬trazione di dolore che la nostra memoria ricordi.

Parleremo di un argomento di cui tacciamo volentieri, pur essendo legato a filo doppio alla nostra vita quotidiana: parleremo della morte, tentando per così dire di spogliarla dei paramenti funebri, tentando di vederla addirittura nel suo aspetto conoscitivo come più perfetta radiografia del mondo, ne parleremo ricordando le parole di Romeo al termine di Romeo e Giulietta: “una tomba? oh no, un faro ... poiché qui giace Giulietta, e la sua bellezza trasforma questa tomba in una sala piena di festa e di luce ...”.

Parleremo dell'entusiasmo, essere posseduti da un dio secondo l'etimo, condizione indispensabile per la pienezza del vivere, contrapposto all'ignavia-accidia come incapacità di muovere il cuore per qualcosa. Ma anche dei pericoli dell'entusiasmo stesso, che rischia in ogni momento di sconfinare nel fanatismo, sua mortifera parodia.

Parleremo di una nozione che abbiamo incontrato come centrale nel prendersi cura del gran male mentale, quella di percorso, nozione che certo è trasversale a ogni aspetto del nostro vivere. Parlere¬mo di percorso mettendolo in relazione a ristagno, che è proprio l'assenza di un percorso, un fermarsi che non acquista il suo senso con il prossimo muoversi, ma che lo esclude. Ogni percorso può essere smarrito ma anche ritrovato, e ogni sosta ha una sua legittimità, camminare e fermarsi sono momenti centrali attorno ai quali si articola il nostro vivere. Il ristagno è l'uscire dalla loro dialettica.

Giorgio Moschetti