IN NOME DEL PADRE
Qualche sera fa, alla vigilia della festa del papà, insieme ad un caro amico ci siamo ritrovati a fare alcune riflessioni che vorrei condividere con te, caro lettore, su ciò che oggi rappresenta la figura del padre.
Tutto nasce da un articolo di Giorgio Boatti su "La Stampa", dal titolo a mio avviso sarcastico ma neanche troppo: "Abbiamo fatto la festa al papà". Si tratta di una riflessione sui cambiamenti che hanno coinvolto la figura del padre, il suo ruolo e il tipo di autorità da lui rappresentata nei diversi periodi storici fino ad arrivare ad oggi, recensendo un libro appena pubblicato da Marco Cavina "Il padre spodestato. L'autorità paterna dall'antichità ad oggi".
È un'interessante carrellata che inizia dalla figura del padre nella civiltà romana, quando la patria potestà era intesa in modo totalizzante: il padre aveva il diritto di vita e di morte sui propri figli, era una grande mano in grado di decidere, anche in caso estremo, sulla stessa esistenza della prole, nonché di dirigere ed esercitare l'autorità in termini di potere assoluto.
L'articolo ricorda che solo con la rivoluzione francese venne abolita la patria potestà in termini assoluti: si trattò di un cambiamento radicale, non solo in termini giuridici, che scardinò una impostazione mentale durata secoli. Certo dovette passare ancora del tempo per arrivare agli anni sessanta del secolo scorso e ai mutamenti giunti insieme alla contestazione giovanile, che hanno sottolineato il primato del singolo, a tutt'oggi vigente come una delle caratteristiche della nostra società individuale e individualista.
La struttura della famiglia si modifica sotto i colpi del pensiero e i ruoli di autorità divengono più sfumati: non si parla più di patria potestà, ma di responsabilità genitoriale, in cui chi definisce le regole per la crescita dei minori sono sempre più spesso altre agenzie formative come la scuola, e altre figure come gli educatori, gli insegnanti, i psicologi, ecc..
Attualmente nell'odierno linguaggio comune il termine autorità credo sia inteso, anche da te lettore, soprattutto come figura giudicante, sanzionante, figura che come tale non ispira una gran simpatia. E' il modo, assai parziale ma molto comune, non di rado tinto di una certa diffidenza e distanza, con cui siamo abituati a pensare a questa parola e al suo significato. Ma forse ti sorprenderà sapere che in origine, etimologicamente, autorità, al pari di autore, derivano entrambi dal latino auctor-oris, che significa colui che promuove la crescita, che fa avanzare, che potenzia. Quanta differenza! Quanta ricchezza di implicazioni si perde in questa nozione se la si limita al solo giudice severo che sanziona!
L'autorità, certo intesa in questa accezione e non in altra, è invece figura indispensabile in qualsiasi relazione interpersonale caratterizzata da una forte disparità di potere (genitore figlio, insegnante allievo, terapeuta paziente e così via): il primo termine di ognuna di queste coppie, l'auctor, proprio in quanto promotore di crescita, proprio in quanto figura che fa avanzare, che potenzia, deve essere in primo luogo una base sicura che permette all'altro, al figlio, all'allievo, al paziente di fare esperienza in un ambiente sicuro in cui possa conoscere e agire: il bambino ha bisogno della sicurezza rappresentata dal genitore per imparare a muoversi con i suoi pochi strumenti nel mondo, per conoscerlo e per agire. Ma chi promuove, chi fa avanzare, chi potenzia, deve poi anche rendere possibile lo scambio fiduciario, sapere essere cioè oggetto di fiducia e in seguito insegnare all'altro a essere lui stesso oggetto di fiducia, perché solo in un contesto fiduciario, in cui l'altro rappresenti sicurezza e affidabilità, la Persona può articolare nel mondo la sua manifestazione.
Certo la figura di autorità, autorevole, promuove la crescita, sprona e incoraggia ma anche ferma, contiene, ricorda e definisce i limiti. Operazione non semplice ma indispensabile: che si tratti di imparare a 'saper fare' (andare in bicicletta, guidare, fare i calcoli) o a 'saper vivere' (avere rispetto degli altri, di sé, avere delle regole di vita, ecc..) la consapevolezza dei limiti, propri e del mondo, è condizione basilare per qualunque azione.
Che significato può avere tutto questo nella nostra società che considera la libertà personale un valore assoluto, che considera la nozione di limite con un certo fastidio, che valorizza l'assenza di limite, la situazione estrema?
Credo, caro amico lettore, che non ci possa essere autentica libertà personale senza etica e morale, senza un chiaro ed esplicito riconoscimento dei ruoli e delle responsabilità che i ruoli comportano: la autorità vera è quella di coloro la cui presenza accresce la sicurezza di chi è più fragile, pone le condizioni perché chi ha meno potere possa svilupparne di più progressivamente colmando il gap di partenza e acquisendo sicurezza, autonomia, affidabilità. L'autorità nel significato etimologico tende a redistribuire il suo potere, ad attenuare il dislivello iniziale, ha fatto la sua parte quando l'altro è diventato a sua volta autorevole.
E il nostro protagonista, il padre, dove si colloca in queste poche righe di riflessione?
Mi piace pensare e credere che il padre, proprio perché portatore di sicurezza e di fiducia, proprio in quanto figura di autorità amorevole debba essere oggi più che mai presente. Presente con la voglia di costruire un ambiente stabile dove poter fare esperienza anche se il mondo cambia di continuo; presente come persona di fiducia, così rara da trovare eppure così indispensabile; presente con la voglia, anche se giornalmente faticosa, di aiutare non solo ad avere tante cose e oggetti, ma ad avere il senso delle cose, il rispetto degli oggetti; presente come voce che sostiene, incoraggia, che sa spronare e sa fermare quando è il caso. Cari lettori che siete anche papà, avete un ruolo difficile ma indispensabile: non scoraggiatevi per questo, non tiratevi indietro, non abdicate, c'è bisogno di voi e del vostro aiuto per crescere e diventare adulti veraci!
Elena Iorio