IL BELLO NEI GIORNI
Ci fa bene tenere bello il luogo dove riposa chi si è amato tanto. È vero, rimane solo quello da fare, ma non è poco. E ne abbiamo bisogno, di quei pochi gesti, anche se l'andare in quel luogo è desiderato quasi lietamente, quasi ci si avvicinasse così a chi non è più qui con noi o lo è come non era mai stato prima, e il tornarne è sempre greve e le gambe pesano assai più al risalire quelle scale dopo quei pochi gesti che non al discenderle prima. Pure ci fa bene farli, quei pochi gesti, raccogliere qualche foglia secca, ridare delicatamente forma ai fiori scompigliati dal vento, dare un po' d'acqua, perché quel luogo sai ben tenuto, sia bello, sia in ordine. Non ci rimane che quello da fare, ma non è poco.
Tanto ci fa bene la bellezza, tanto cura le peggiori sofferenze, gli strazi senza nome. Perché bellezza e amore sono sempre inscindibilmente connessi, quale che sia la bellezza, quella che noi sappiamo offrire, con i nostri poveri mezzi. Una chiama l'altro, uno chiama l'altra: la bellezza ci risveglia alla capacità di amare, tante volte inoperosa, lasciata languire mentre il mondo diventa grigio, ci ricorda che nonostante tutto siamo sempre capaci di amare. E l'amore a sua volta introduce la bellezza nel mondo, lo riveste di bellezza e di splendore, lo rende bello e trasparente.
Questo può accadere in qualsiasi momento, caro lettore, nel piccolo delle nostre giornate, nelle nostre piccole case. Perché il bello salva, diceva Roberta De Monticelli, ma per accorgersene bisogna aver sofferto. E tu, lettore, hai mai sofferto?
Perché il bello ci salvi, perché lenisca la nostre sofferenze, occorre però che già abiti dentro di noi, anche se poco, anche se solo nella forma di vaga nostalgia – ah, poter conservare a memoria le poesie, permettere loro di irraggiare bellezza per tutta la vita dall'intimo della nostra mente ... Solo se ha nidificato inavvertito nei riposti anfratti dell'anima sappiamo riconoscere il bello quando ci sfiora durante le giornate, cosa che sempre fa nonostante i nostri occhi opachi e distratti. E perché abiti dentro di noi, occorre che noi ce lo propiziamo, che lo pensiamo, che lo rincorriamo spendendo qualche energia in suo onore. Lo possiamo fare sempre, questo sacrificio (sacrificio = fare sacro, una volta aveva una connotazione gioiosa, scegliere un dono è una gioia di per sé). Non è tanto lontano, il bello, non appartiene soltanto ai musei o alle sale da concerto, né tanto meno soltanto al lusso: ormai poi quel bello, dico quello della grande arte, ce l'abbiamo a disposizione come mai in precedenza, i mezzi di comunicazione, di riproduzione... Una volta si doveva viaggiare a lungo per raggiungerlo, Bach andò a piedi a conoscere e sentire il grande maestro Buxtehude da Arnstadt a Lubecca (circa 400 km...). Lo si raggiungeva con fatica e certo questo aiutava a goderne assai più e con maggiore profondità, come di tutte le cose condite dal sudore. Adesso è a portata di mano e rischia di passarci davanti agli occhi inavvertito. Pure c'è, è lì che occhieggia in qualunque edicola per strada.
Pure, portare la grande arte nel quotidiano delle nostre case ha senso solo se sappiamo rintracciarne le radici in ogni nostro piccolo fare quotidiano, solo se riusciamo a riconoscere che essa ci riguarda sempre personalmente, che ci aiuta a ritrovarci, a capire chi siamo, come siamo fatti. Essa continua a parlarci, incurante del tempo e dello spazio, in attesa che riusciamo a prestarle ascolto e a permetterle di agire su di noi. Non dobbiamo lasciarcene intimidire e soprattutto non dobbiamo relegarla, insieme alla bellezza, nel lusso. È arte grande proprio perché parla di tutti noi, delle nostre vite. Io credo che qualcosa sempre accomuni i grandi capolavori e i piccoli nostri gesti di ogni istante. Lo so, una grande distanza mi separa da Mozart o da Dante, ma sono molto più le cose che abbiamo in comune fra noi in quanto esseri umani, che non quelle che ci separano. Perché i grandi capolavori non sono prodotti da marziani, da gente che appartiene a un altro mondo: sono le parole di gente di questo mondo, lo stesso nostro, gente come noi che però ha amato, amato tanto, assai più forse di quanto siamo capaci noi con la nostra paura, che ha saputo darsi con tenacia e fermezza e pienezza a ciò che amava. Ognuno di loro ha da insegnarci qualcosa. Mozart, Beethoven, Michelangelo, per dirne solo alcuni: il loro fare è un continuo richiamarci, anche severo, è un continuo prenderci per il bavero e ricordarci pressante ma stai vivendo davvero, o dormi? o fai solo finta di vivere? Perché se vivi sul serio devi poter vedere e godere di ciò che ti ho donato a costo della mia vita.
Ogni grande opera d’arte è un dono che ci avvicina alla pienezza del vivere. Ma anche ogni piccolo lavoro ben fatto in casa nostra è un dono, purché ben fatto, fatto con dedizione, con amore, con tenacia, è un dono a chi ci sta intorno, al mondo intero. Ognuno di noi può nei suoi piccoli lavori avere presente Mozart, la grazia, la tenerezza, la delicatezza. La più umile, semplice e banale cosa, se fatta con dedizione e amore, è un dono prezioso. E qualunque cosa facciamo è alla fine sempre destinata a un altro, da un cuore può andare a un altro cuore. Beethoven, sordo e considerato un po’ matto alla fine della sua vita, anche un po’ troppo confidente con il vino, oltre ad alcuni dei più enigmatici interrogativi posti alla mente umana in ogni tempo (le ultime fughe ...) produsse la quintessenza della tenerezza nelle sue ultime sonate, negli ultimi quartetti.
L’artista non è un tipo speciale di uomo, ma ognuno di noi è un tipo speciale di artista.
Giorgio Moschetti